I sono un trio nostrano formatosi nel 2012 e composto dai fratelli Juri (chitarra), Jacopo Tirelli (basso) e dal loro cugino Mattia Piani (batteria). Dopo due album, ed uno split con gli Electric Taurus, il terzetto del nord Italia pubblica il qui presente Dai. Partendo da uno stoner-rock abbastanza classico, nel corso degli anni il gruppo si è evoluto mantenendo il proprio trademark e non affievolendo affatto la potenza della proposta. È tuttavia proprio con questo disco che le cose cambiano in maniera più netta, in particolar modo per quello che concerne l’approccio alla scrittura.
Potremmo pensare che cinque tracce siano poche, ma ciò viene compensato dalla notevole mole di pietanze – volendo usare un parallelo gastronomico – comprese nel menù. L’incipit sembrerebbe soft, dal momento che che “Hasenjio” presenta una chitarra molto pulita con qualche influenza arabeggiante; si tratta tuttavia di una falsa impressione, poiché la distorsione arriva immediatamente, recando con sé sporcizia e fumo. Il basso gioca un ruolo decisamente dominante, e viaggia spesso sul binario delineato dall’amalgama dei Nostri come fosse una locomotiva, ben supportato da un lavoro di batteria sempre in evoluzione, denotando un’ottima intesa ritmica. Ci troviamo dunque dinanzi uno stoner psichedelico, suonato però con un’irruenza molto garage/rock’n’roll, intrecciato a continue acrobazie strumentali decisamente complesse -al limite della fusion. Già fin qui c’è tanto sul piatto, ma è solo l’inizio: con “Pest” si ritorna ad una certa irruenza, con un basso nuovamente in primo piano, martellante a più non posso, che trascina tutto e tutti. La sei corde si prende allo stesso tempo il suo spazio mediante una cascata di assoli lancinanti e velocissimi, senza che i brani ne perdano in groove. Anziché insistere con un approccio diretto e veemente, il trio lascia poi prendere fiato l’ascoltatore con la lunga e lisergica “Geppetto M24”, un’odissea space-rock che non manca comunque di prenderci a schiaffi grazie a sezioni più rocciose. Sebbene nel complesso risulti godibile e trascinante, la traccia trasuda tuttavia eccessivamente di mestiere, e manca del quid necessario a renderla totalmente riuscita.
Altro brano, altro sapore: ci troviamo probabilmente dinanzi all’episodio più strambo e bizzarro del disco, ovvero “Soft-Shell Crab”. Quest’ultimo vede al suo interno un lavoro di chitarra colmo di effetti stranianti, quasi che lo strumento stesse urlando sott’acqua, per poi emergere ed ergersi a protagonista come una doppietta caricata a Jimi Hendrix. Basso e batteria pestano nuovamente che è un piacere coinvolti in una danza sfrenata, mentre a metà traccia ci sono dei deliziosi inserti di acid-rock e psichedelia. La conclusione non è così dilatata come ci si potrebbe aspettare, ma è un turbine impazzito di assoli, ritmiche ossessive e folli nonché distorsioni intervallate a dei placidi giochi jazzati, armoniosi e piacevolmente drogati. In ultima analisi, Dai è un lavoro con il quale il trio italiano mostra di aver conseguito la propria maturità: non c’è dunque che da augurare un buon ascolto a chiunque voglia entrare nel folle universo dei Prehistoric Pigs.
(Autoprodotto, 2019)
1. Hasensjio
2. Pest
3. Geppetto M24
4. Soft-shell crab
5. No means no