Ci vuole coraggio a lasciare il porto sicuro per lanciarsi nell’esplorazione di mondi nuovi, lontani, incogniti, possibilmente insidiosi. Ma è proprio questo il fascino del viaggio, della scoperta e dell’avventura, quella intesa nel suo significato più classico, già tema e fulcro della grande letteratura del passato. Anche di quella – e qui ci troviamo già in un discorso pienamente pertinente con l’operato dei Progenie Terrestre Pura – spesso vituperata e declassata, che fa capo al filone fantascientifico. E, del resto, cosa c’è di più emozionante di un ignoto totale, tanto spaziale quanto temporale? Questo salto nel vuoto, alla ricerca del nuovo, sembra essere dunque il tema che lega non solo il concept lirico, ma anche, sul piano meta-musicale, i suoni di oltreLuna.
Il secondo full length del combo, pubblicato quattro anni dopo il folgorante esordio U.M.A. (2013), vede una line-up radicalmente rinnovata: ad affiancare Davide Colladon, mastermind impegnato con chitarre, synth e programmazioni, troviamo oggi un bassista (Fabrizio Sanna) e un vocalist (Emanuele Prandoni), in quella che appare sempre più una vera e propria band. Ma rinnovato è anche il contenuto sonoro: la cifra stilistica espressa in U.M.A. ha contenuto una portata, ci sentiamo di dire, rivoluzionaria. Mai nessuno aveva portato a un tale livello qualitativo l’accoppiata di black metal e tematiche e sonorità sci-fi, mettendo da parte sia i risvolti onirici e psichedelici del caso (quelli dello space rock classico, per intenderci, o degli Oranssi Pazuzu) sia quelli più oscuri e abissali (tanto cari ai Darkspace), concentrandosi invece sulla componente robotica, androide, umanizzante/deumanizzante di una fantascienza gelida e artificiale. Ma oggi i PTP portano questo discorso ad un nuovo stadio, scombinando ancora una volta le carte in tavola e realizzando un’opera complessa, stratificata, a tal punto da lasciare a bocca aperta.
Scendendo nel dettaglio: memori di quanto ascoltato in passato, tutto potremmo aspettarci da un brano dei PTP meno che un’apertura affidata a delle percussioni tribali. Ma “[.Pianeta.Zero.]” inaugura l’album proprio così, e per tutta la durata del brano si avvicendano dei tiratissimi momenti black ad altri più spezzati e vorticosi, con splendidi interludi etnici a fare da collante. Si tratta di richiami primordiali che sanno di arcano e misterioso – come, appunto, un viaggio alla scoperta di una civiltà e di una cultura sconosciute – che si riproporranno per gran parte dell’album costituendone uno straordinario punto di forza. Con le dovute distanze tematiche e stilistiche, avvertiamo rimandi al feeling ancestrale dei compagni di etichetta Selvans (e, in effetti, pare che l’album sia stato originariamente concepito per un progetto coinvolgente Selvans Haruspex, mastermind degli abruzzesi). Ma la band non dimentica le proprie radici: i minuti iniziali di “[.SubLuce.]” sono un compendio di riffing black metal da manuale, a metà tra la Norvegia e il post-black, dalla grande efficacia emotiva. Nella title-track, simbolicamente, sono racchiuse tutte le anime del disco: dopo un intro tribale arricchito dal throat singing mongolo – a questo punto sappiamo di poterci aspettare di tutto – il brano si fa violento e marziale, adottando certe soluzioni che hanno fatto la fortuna di U.M.A., per poi chiudersi con un momento elettronico. “[.Deus.Est.Machina.]” introduce un altro aspetto del sound dei Nostri, lo psybient già apprezzato nell’EP Asteroidi (2014), che prende il posto delle suggestioni etniche, e di conseguenza il brano si fa epico e imponente, riflettendo queste caratteristiche anche nel comparto lirico. La lunga “[.Proxima:B.]” conclude l’album calcando la mano sull’elettronica, alternando psichedelia, trance e rimandi dubstep, per un risultato che non deluderà i sostenitori di vecchia data della band.
Abbiamo scritto tanto, e forse si potrebbe dire altro: sui testi, ad esempio, evocativi e di rara fattura, sui suoni accurati e ben bilanciati, sulle vocals che presentano un netto passo avanti rispetto al passato. Il punto è che oltreLuna è un album in cui è facile perdersi, non perché presenti particolari complessità formali, ma perché è un susseguirsi di elementi, sensazioni, ambienti diversi, e soffermarsi su ognuno di essi fa perdere la bussola, nonostante siano ben allineati e giustapposti. Ciò detto, non possiamo fare altro che promuovere ancora una volta i Progenie Terrestre Pura per aver dimostrato, con coraggio e intraprendenza, di essere una realtà totalmente originale, ancor più di quanto lo fossero in passato. In un momento storico in cui la mancanza di personalità è un errore imperdonabile, la band veneta centra un ulteriore bersaglio. Ma basterebbe anche solo la musica, catartica, evocativa e dal forte valore letterario e cinematico, a stimolare l’interesse di ogni fan di certi suoni, e a rendere quest’album imperdibile.
(Avantgarde Music, 2017)
1. [.Pianeta.Zero.]
2. [.SubLuce.]
3. [.oltreLuna.]
4. [.Deus.Est.Machina.]
5. [.Proxima:B.]