Si è creato parecchio hype, in quel di Catania, all’annuncio della prima discesa siciliana dei Red Fang. Il combo di Portland ha raggiunto in dieci anni di carriera una grandissima fama e gode di un’audience vasta ed eterogenea. Inoltre, tra il pubblico catanese si è consolidata una certa attenzione verso il mondo dello stoner e ciò che gli orbita attorno, come dimostrato pochi mesi fa dall’ottimo feedback riservato ai Radio Moscow. L’associazione che si è occupata di organizzare l’evento, Blow Rock, ha sulle spalle diversi anni di attività nel campo, si è costruita una solida fama puntando principalmente su tribute e cover band e da poco ha scelto di dirottare il grande seguito di giovani verso band internazionali che propongono musica propria. A conti fatti, e considerando la scelta di inserire ben due band d’apertura, le premesse erano quelle di una serata che difficilmente i catanesi avrebbero dimenticato. Come vedremo, le attese possono dirsi soddisfatte solo in parte.
RED FANG + RHINO + FAVEQUAID LIVE
BLOW, CATANIA
13 / 06 / 2015
FAVEQUAID
Al nostro arrivo il luogo dell’evento, un lido, è quasi vuoto nonostante l’orario sia quello prefissato per l’inizio del primo live. A poco a poco si raggruppa una piccola folla, e dopo circa un’ora (sono le 23.30) salgono sul palco i palermitani Favequaid. La maggior parte degli avventori preferisce seguire da lontano, cercando un po’ di brezza, dato che la temperatura sotto il grande gazebo antistante al palco è decisamente alta. Alcuni evidenti problemi di volumi rendono poco omogeneo e chiaro il suono nei primi due brani ma la band, noncurante di questo particolare, sprigiona mezz’ora di potentissimo stoner reso particolarmente grezzo e “metal” dalla voce del frontman Gabriele Prestifilippo. In seguito il concerto diviene più godibile e lascia apprezzare brani ricchi di sfumature, articolati in modo originale (elemento non da poco conto, considerato il genere) e suonati con notevole perizia tecnica (come nel caso del lungo assolo del chitarrista Massimiliano Bellavia in “Everytime”). Performance più che convincente, anche il pubblico sembra apprezzare: band da tenere d’occhio.
RHINO
Dopo un breve cambio palco è il momento dei catanesi Rhino, che propongono uno stoner chiaramente ispirato ai grandi pilastri del desert rock, Kyuss su tutti. Se si volesse fare un confronto con la band precedente, i Rhino spingono meno sull’acceleratore e puntano tutto sul lato più torrido e psichedelico del genere. I brani appaiono meno originali ma efficaci e meglio strutturati, nonché suonati con una sicurezza e una tenuta di palco tali da evidenziare una certa esperienza sulle scene. Indicativo in questo senso la presenza dietro il microfono di Niko Accurso, attuale voce degli Schizo, che offre una performance decisamente energica. Da sottolineare anche l’assenza del bassista Marco “Frank The Door” La Porta, sostituito egregiamente da Giacomo Iannaci (chitarrista dei None Of Us), compito non facile considerata la grande importanza che ricoprono i grassi e psichedelici giri di basso nei brani dei Rhino. Anche in questo caso la resa dell’impianto non è all’altezza e causa evidenti squilibri fra gli strumenti e un suono generale gracchiante e impastato. Dal palco probabilmente ciò non si avverte, i Nostri tirano dritto nei loro trenta minuti suonando qualche estratto dal loro EP omonimo (“Spiral Target”, “Hiperviper”) e qualche brano “nuovo” (“The Law Of Purity”), con annesso lancio di magliette sul pubblico, che apprezza sia il gesto sia la proposta musicale. Una band da non farsi scappare per gli appassionati del genere.
RED FANG
Quando gli attesissimi headliner salgono sul palco è quasi l’una e, facendo un calcolo sommario, è presente meno gente del previsto. L’atmosfera è in ogni caso calorosa come è giusto che sia. I Red Fang aprono con “Malverde” e da lì in poi è tutto un susseguirsi di successi che il pubblico conosce benissimo. Qua risiede una particolarità dei quattro americani: nonostante soli tre album pubblicati, hanno saputo giocarsi ottimamente le carte dei singoli, accostandoli spesso a videoclip comici e ignoranti che sul web hanno spopolato, con il risultato di una scaletta ricca di “classici” della band. Da “Wires” a “Hank Is Dead” fino alla conclusiva “Prehistoric Dog”, il culmine in questo senso è quell’anthem che risponde al nome di “Blood Like Cream”: semplicissima, d’effetto, sembra scritta apposta per essere urlata ai concerti. La performance è energica ma non troppo, i quattro non si scompongono, e pause brevi (o assenti) e pochissimi interventi parlati fanno sì che i brani vengano sparati l’uno dopo l’altro senza un attimo di respiro. Aaron Beam offre un’ottima performance vocale, con qualche steccata nelle parti più alte ma comunque solida e perlopiù intonata dall’inizio alla fine. Dal vivo, ancora più che in studio, le parti cantate da Bryan Giles danno adito a chi taccia la band di essere “Mastodon wannabe”, in quanto davvero somiglianti per stile e timbro a quelle di Troy Sanders. Ma è chiaro che questo non è un problema che sembra importare al pubblico, intento a pogare e saltare con il giusto trasporto che merita il muscolare e divertente stoner metal dei Red Fang.
Problema decisamente più grave è quello che si manifesta circa alla terza canzone: il lato sinistro dell’impianto di amplificazione salta del tutto, probabilmente non capace di sopportare volumi alti. L’ovvio risultato è che l’impatto sonoro della band è rovinato, soprattutto per chi si trovava proprio nella zona sinistra – come il sottoscritto – nella quale è stato quasi più facile udire il suono diretto degli amplificatori che quello dei generali. Questo problema, risolto abbondantemente dopo la metà del tempo a disposizione per i Red Fang, arriva dopo una serata in cui la resa sonora non ha mai del tutto reso giustizia alle band. Questo è un vero peccato, anche perché si tratta di uno dei pochissimi casi in cui un act internazionale nel panorama rock/metal calca un palco catanese. Dal canto loro, i quattro ragazzi si sono dimostrati molto gentili con i fan, concedendosi senza problemi a foto e autografi (il chitarrista David Sullivan prima del concerto è stato avvistato in mezzo ad una lunga coda per prendere una birra al bancone, come se niente fosse). Comportamenti che dovrebbero rappresentare la norma, ma ormai è più consueto considerarli come eccezione. Nel complesso è stato un concerto da ricordare, anche se con un po’ di amaro in bocca per i “mezzi” volumi.