Passatempo? Divertissement? Promozione a buon mercato con qualche reliquato d’archivio per mantenere viva l’attenzione nei momenti di bassa marea creativa di una carriera? O forse, all’opposto, un modo originale per annunciare svolte artistiche e preparare i fedeli a un nuovo corso? Ogni volta che nella storia di una band compare il fatidico formato “split”, ci si trova sempre combattuti tra la cieca fiducia nelle qualità dei moniker coinvolti e il dubbio che il risultato possa non rispecchiare le attese, non fosse altro che per una piena riuscita dell’impresa serve l’impeccabilità del contributo e la piena sintonia di tutti i protagonisti. Se poi il percorso degli interpreti racconta di coordinate non del tutto omogenee e immediatamente sovrapponibili, i dubbi rischiano di trasformarsi in diffidenza preventiva, costringendo involontariamente i lavori in arrivo a uno sforzo supplementare per convincere e coinvolgere davvero.
Ed è proprio questo il caso della collaborazione tra due realtà emiliano-romagnole capaci di unire le forze per andare oltre la dimensione degli split classici, regalando un album che brilla per unitarietà di intenti e resa e rispettando nel contempo le specificità delle singole ispirazioni. Il terreno di incontro è la poetica post, declinata per un brano ciascuna nella duplice componente rock e metal secondo i canoni prediletti dalle due band e poi proposta in una lettura “unitaria” in una monumentale suite conclusiva con la partecipazione di ambo le band. Ecco allora che all’ombra di un titolo come RIAHPSTVRT che si limita quasi a “codicefiscalizzare” i nomi dei partecipanti, si materializzano intuitivamente da un lato i Riah, combo bolognese reduce dal promettente debut Autumnalia e dall’altro i Postvorta, realtà ormai consolidata in un panorama da tempo proiettato ben oltre i confini nazionali grazie alla splendida trilogia della nascita chiusa un anno fa da Porrima. Alfieri di un post-rock strumentale indubbiamente debitore della lezione Pelican e Russian Circles ma con affaccio forse più immediato sui balconi Red Sparowes e, in misura minore, Once Upon a Winter, i Riah confermano tutti i punti di forza dell’esordio, aggiungendo un carico di maturità che ne attesta la crescita soprattutto sul fronte della gestione del flusso narrativo ed emozionale, al punto da collocare il pezzo di loro competenza, “Epidermide”, immediatamente al vertice dell’intera discografia. Non è solo una questione biografica (i recenti assestamenti nella line up hanno portato a bordo Andrea Binetti e Michele Verni, che hanno raggiunto Flavio Di Bella a comporre un’accattivante squadra a tre chitarre supportate dal sempre impeccabile lavoro della sezione ritmica Diego Ruggeri/Rocco Catturani), l’ottima notizia è che i Nostri hanno imparato a modulare meglio che in passato sia la carica straniante delle distorsioni sia i momenti atmosferico/contemplativi, al punto da potersi permettere una vera e propria traccia “anfibia” capace di sciogliere la tensione accumulata nella prima parte in un finale ad alto tasso di abbandono melodico su cui si posa addirittura qualche prezioso e graditissimo coriandolo psych. Tocca ora ai Postvorta salire sul palco e il combo capitanato dall’inossidabile Andrea Fioravanti si conferma la solita macchina da guerra pronta ad avanzare travolgendo ogni ostacolo tra paesaggi desolati, colate di fango e un’oscurità quasi fisica figlia di incubi e claustrofobie. I cardini attorno a cui ruota “Hollow” sono quelli sostanzialmente attesi per tutto ciò che porti il nobile marchio del laboratorio ravennate, ma va detto che stavolta acquistano un ruolo di primissimo piano sia la componente sludge sia quella doom, seguendo una linea di sviluppo peraltro già ben delineata in Porrima. E’ un monolite architettonicamente nero, quello che prende progressivamente corpo e forma sotto i colpi cadenzati della coppia Marra/Borzini, ma la luce, lungi dall’essere assorbita, trova modo di sfuggire alla fatale forza di attrazione della materia riverberando riflessi sinistri sulla scena. Nei panni di gran maestro di cerimonie di questa oscurità allucinata, spicca innanzitutto la prova di Nicola Donà al microfono, che sfodera magistralmente il solito scream abrasivo specialità della casa, ma non va sottovalutato il contributo delle tastiere di Mohammed Ashraf, pronte a instillare vapori spettrali mentre sembrano accompagnare marzialmente l’incedere del ritmo. Dopo la tempesta, è inevitabilmente ora di riprendere fiato e la chilometrica titletrack conclusiva si avvia su un lungo e diafano crinale ambient appena segnato da leggere increspature drone. Le due band si ritrovano insieme a brandire più il cesello che la spada, disegnando arabeschi elegantemente malinconici sotto cui scorre una vena appena accennata di inquietudine, per un esito cinematografico che regala un’adeguata colonna sonora a campi lunghi dove la descrizione prende abbondantemente il sopravvento sull’azione. Solo nel finale, con un focus sul comparto vocale presidiato dallo scream di un Donà qui più sabbioso che spigoloso, il brano abbandona per un attimo le eteree dimore su cui sembrava incamminato, per poi spegnersi lentamente su radi rintocchi che ci ricordano che è l’astrazione, la vera cifra stilistica di questi sedici, incantevoli minuti.
Una collaborazione tra artisti capaci di solcare un unico cielo post partendo da emisferi diversi, una prova pienamente superata sia nei cimenti individuali sia nella scelta di affidarsi a una scrittura collettiva a più mani, RIAHPSTVRT va molto oltre la dimensione della chicca da consigliare solo ai fans accaniti e agli accumulatori seriali di tutto ciò che riguarda la propria band di culto. La crescita dei Riah e l’ennesima conferma dei Postvorta sono argomenti più che validi, per raccomandare un ascolto in questo attracco condiviso, prima che le due navi riprendano il largo sulle rispettive rotte.
(Moment Of Collapse Records, Shove Records, Fresh Outbreak Records, Trepanation Recordings, 2021)
1. Epidermide
2. Hollow
3. RIAHPSTVRT: I – Prelude II – The Owl III – The Mouse