Dopo tre anni dal precedente Hyaena arriva quasi a sorpresa (i tempi di pubblicazione tra un disco e l’altro sono sempre stati parecchio diluiti) il nuovo disco dei genovesi Sadist. La storica band capitanata dal buon Trevor, reduce dal progetto “hard rock” Trevor And The Wolves, ritorna con il qui presente Spellbound, disco che incentrato interamente sulla figura del maestro dei cinema Alfred Hitchcock, in cui ogni canzone si ispira ad uno dei suoi film. Ad onor del vero sarebbe stato lecito aspettarsi dei riferimenti a registi più fuori dagli schemi come Lynch o Kubrick da parte della compagine progressive death metal, ma comunque l’iniziativa è sicuramente lodevole.
Tralasciando l’intro e l’outro (imbevuti da toni horror tipici del gruppo) l’album si compone di tracce che fanno della tecnica sopraffina la loro arma migliore, tecnica che non è mai sopra le righe ponendosi al servizio delle canzoni. Il growl è decisamente presente, cavernoso e malvagio molto più che negli ultimi lavori, ci sono però alcuni elementi da evidenziare che in parte hanno minato il lavoro. In primis la produzione è fin troppo grezza e poco cristallina, il che in dischi come questo stona data l’atmosfera che si vorrebbe creare. Altro punto a sfavore è una somiglianza molto forte tra diversi brani come “I’m the Man who Knew too Much”, “Stage of Fright”, “The Mountain Eagle” o l’iniziale “The Birds”, troppo ancorate ad un approccio in bilico tra tastiere alla Goblin, bordate violente ed asciutte ed intermezzi tecnici. Dall’altro lato però ci sono episodi molto più interessanti come la titletrack “Spellbound” con le sue tastiere sinfoniche sfumate da acrobazie strumentali, o la più equilibrata “Frenzy” dove tutto viene condensato in maniera convincente. Gli episodi più riusciti rispondono invece ai nomi di “Rear Window”, che rivela l’anima più introversa e malvagia dell’album, la durissima “Bloody Bates” dal riff molto massiccio e la raffinata “Notorius” con le sue tinte epico/jazz dove emerge la classe dei quattro musicisti.
Spellbound è un disco ambizioso, forse incerto, non pienamente riuscito ma che conferma comunque la qualità di una band che rende giustizia alla scena musicale nostrana. Di recente notizia è l’abbandono del bassista Andy, per cui non si sa ancora come i Nostri si muoveranno in futuro.
(Scarlet Records, 2019)
1. 39 Steps
2. The Birds
3. Spellbound
4. Rear Window
5. Bloody Bates
6. Notorius
7. Stage Fright
8. I’m the Man Who Knew Too Much
9. Frenzy
10. The Mountain Eagle
11. Downhill