In un filone atmospheric black metal che, cresciuto sensibilmente di popolarità negli ultimi anni, pare spesso riciclare le proprie formule, Saor appare tra i fenomeni più personali e identificabili. Non è un caso se il progetto dello scozzese Andy Marshall è tra i più apprezzati ed è riuscito, a differenza di molti altri, a salire su un palco (più di uno, a dire la verità) con una band completa. Nonostante una buona prolificità – quattro uscite sin dal debutto Roots (2013) – Saor è riuscito a crescere qualitativamente di album in album: se con Aura è stato scoperto ai più, Guardians è stata la necessaria conferma per un musicista le cui qualità compositive si attestano decisamente sopra la media. Con il nuovo Forgotten Paths, uscito il 15 febbraio per l’italiana Avantgarde Music, il concentrato di black metal, tradizione scozzese e melodie ultramondane raggiunge un nuovo step senza, com’era lecito aspettarsi, stravolgere le coordinate del genere.
Se Guardians aveva dimostrato l’abilità di Marshall nel giostrare con accuratezza delle complicate architetture sonore in un album strutturato e magniloquente, la nuova uscita mette alla prova il Nostro con schemi più asciutti e un suono più sferragliante, quasi un ritorno alle radici metalliche dopo un’escursione sui lidi più orgogliosamente pagan/folk. Forgotten Paths parte in medias res con il blast beat della title-track, che nella sua prima metà sciorina il solito, ma apprezzabilissimo, epic black metal battagliero prima di aprirsi a un momento acustico dalla forte impronta emotiva, complice la partecipazione di un ispirato Neige degli Alcest. Sembra proprio di aver rimesso su per errore Souvenirs d’un autre monde, con il suo feeling spirituale e panteistico, che fa il paio con un finale tirato canonicamente metal in cui il francese si presta a una buona interpretazione in scream, quasi in memoria dei tempi d’oro. Più ordinaria la successiva “Monadh”, ma comunque lodevole per un bilanciamento ben riuscito tra le componenti in gioco e impreziosita da una lunga e ciclica coda finale con violini da lacrimoni. Chiude, prima dell’outro, “Bròn”, brano scelto come singolo apripista, che si muove su toni più cupi rispetto ai brani precedenti, il contesto migliore per il cantato cavernoso di Marshall che sfodera, di conseguenza, un’eccellente prestazione vocale. Al barbuto scozzese fa il paio una voce femminile eterea che, fuori da ogni cliché, suona come quella di una druidessa intenta a compiere qualche rito in un luogo freddo e impervio, come d’altronde coerentemente illustrato nel videoclip tratto dal brano. Il disco è praticamente finito e lascia qualcosa in sospeso, verrebbe voglia di tornare indietro e ripremere play: già un vero successo per un genere solitamente verboso.
Ciò accade perché Forgotten Paths è un lavoro estremamente maturo, capace di trarre il meglio possibile dal folklore locale e metterlo al servizio del black atmosferico con rispetto, coerenza e sincerità. Non c’è spazio per kilt, pose ridicole o balletti, l’intento dei Saor è chiaramente quello di tributare le proprie radici, che affondano in una terra estremamente affascinante e ricca di tradizioni come la Scozia, e di farlo in modo personale e sentito. Per cui, anche se a sentir parlare di folk, cornamuse, violini e voci femminili siete soliti chiudere la pagina in fretta e furia e mettere su un disco dei Blasphemy, vi consigliamo di mettere da parte le idiosincrasie in favore di un ascolto che si rivelerà molto più profondo di quanto appaia.
(Avantgarde Music, 2019)
1. Forgotten Paths
2. Monadh
3.Bròn
4.Exile