Resettare il passato senza rinnegarlo del tutto, ricalibrare la rotta e ripartire… Dev’essere stato più o meno questo, il risultato della riflessione di tre ragazzi norvegesi di fronte al non decollo del progetto a cui per oltre un lustro avevano affidato cure e speranze, fino alla definitiva calata del sipario, nel 2017, sul moniker Tombstones. Evidentemente, dopo quattro full length accolti in media con scarso entusiasmo da una critica che ha sempre rimproverato al combo di Oslo un sound eccessivamente derivativo rispetto ai sacri modelli Sleep ed Electric Wizard (anche se almeno il capitolo finale della saga, Vargariis, meriterebbe una consistente rivalutazione), era giunto il momento di abbandonare la ridotta di uno stoner doom tutto lentezza, oscurità, riffoni circolari e fumi di troppo scolastica ascendenza sabbathiana.
Perso per strada un componente della “band madre” e confermata una line-up a tre elementi con Ole Rokseth a sostituire sul campo Bjørn-Viggo Godtland, il terzetto riprende ora il largo con la denominazione Sâver suscitando subito un rinnovato interesse, testimoniato dall’ingresso nella scuderia Pelagic Records. Non che i Nostri abbiano improvvisamente attuato una rivoluzione copernicana del proprio arsenale artistico, ma è innegabile che uno spostamento dell’asse dell’ispirazione verso territori a più alto tasso sludge e post-metal giovi in maniera consistente alla resa complessiva, con l’aggiunta che, trattandosi di musicisti dai più che navigati trascorsi, l’ascolto di questo They Came with Sunlight scivola via senza i rischi che spesso possono insidiare debutti e opere prime. L’indubbia maturità degli attori si materializza soprattutto nella capacità di gestire con equilibrio i dosaggi delle singole componenti e di ridurne al minimo le linee di faglia, regalando cinquanta minuti in cui, se è pur vero che pesantezza, pachidermicità e prolungati squarci intrisi di psichedeliche allucinazioni si disputano il proscenio, non mancano spazi di (relativa) rarefazione delle linee narrative.
Va detto comunque in premessa che, rispetto a una “canonicamente attesa” declinazione post-metal, le finestre atmosferico/melodiche sono merce decisamente rara e comunque non ricoprono mai un ruolo davvero decisivo nell’evoluzione strutturale dei brani, la cui monoliticità d’insieme è insidiata piuttosto dal soffiare di improvvisi refoli drone o dal pulsare di un’inattesa vena electro. A marchiare l’album con un fuoco sludge tutto dissonanze e abrasività, oltretutto, provvede la prova di Ole Christian Helstad al microfono, incardinata su uno scream lancinante e spigoloso a cui forse, in sede di valutazione complessiva, è imputabile un’eccessiva uniformità, pur riconoscendone gli indubbi meriti sul versante della fedeltà agli stilemi core di filiazione neurosisiana.
Ed è proprio nella sottolineatura del contrasto tra gli apporti acidi del comparto vocale e le atmosfere alternativamente solenni o claustrofobiche che i Sâver costruiscono la fortuna del platter, a cominciare da un’opener come “Distant Path”, che dispensa a piene mani riflessi sinistri su una base fangosamente malata, per proseguire subito con i richiami alla scuola Crowbar dell’ottima “I, Vanish”, arricchita nel corpo centrale da una riuscita incastonatura post. Che l’imprevedibilità sia una delle armi vincenti dei norvegesi è chiarito abbondantemente dalle spire drone che avvolgono la strumentale “Influx”, ma è bene non sottovalutare né l’andatura ora sospesa in un’aura space e ora ortodossa debitrice della tradizione doom di un episodio come “How They Envisioned Life” (a cui peraltro non sono estranee addirittura velleità industrial) né, soprattutto, lo spiazzante avvio electro di “Dissolve to Ashes”, in cui Helstad abbandona per un breve attimo lo scream d’ordinanza cimentandosi con successo in una sorta di nenia cantilenata, che preannuncia il miglior momento post dell’intero viaggio. Nota di merito particolare, infine, per la traccia di chiusura, “Altered Light”, a cui ci sentiamo di assegnare senz’altro la palma di brano più coraggioso della compagnia (eccellente l’intreccio basso/batteria dell’avvio, su cui la sei corde di Rokseth si innesta ricamando delicati arabeschi che sfociano in un finale in cui la melodia occupa per una volta il centro della scena), se non di più che probabile best of dell’intero lotto, soprattutto per chi apprezza le potenzialità “cinematografiche” del post-metal di marca Cult of Luna.
Anfratti oscuri alternati a stroboscopiche incursioni luminose, passaggi cadenzati che danno il cambio a linee strumentali ipnotiche, un tentativo intelligente e sostanzialmente riuscito di declinare un genere tra richiami alla tradizione e consistenti contributi personali, They Came with Sunlight è un album che merita molto più di una citazione distratta o d’ufficio in un asettico elenco delle uscite sludge di questo 2019. Noi ce lo appuntiamo, il nome dei Sâver, nel taccuino delle band con un solido presente e con grandi potenzialità per il prosieguo dell’avventura…
(Pelagic Records, 2019)
1. Distant Path
2. I, Vanish
3. Influx
4. How They Envisioned Life
5. Dissolve to Ashes
6. Altered Light