Siamo ormai agli sgoccioli del 2022, e l’ultimo numero di Screamature dell’anno è particolarmente robusto, focalizzandosi su sottogeneri più vicini all’hardcore che allo screamo, ma non solo. Si parte in quarta con due eclettici progetti italiani: Rise of the Stateless Wolf (R.O.T.S.W.) e Catorcio, i cui nuovi EP esplorano rispettivamente territori crust/death metal e noise rock, per poi proseguire con l’ennesimo lavoro spaccaossa dei Full of Hell e il debutto dei Rabbit, band hardcore/sludge statunitense. In chiusura c’è spazio per due split: prima quello roccioso e intenso di Vibora e Crossed, poi quello di Farah Rud e Baudelaire, che all’aggressività aggiunge dei ponderati momenti in pulito.
Articolo a cura di Antonio Sechi (R.O.T.S.W., Catorcio), Davide Brioschi (Full of Hell, Rabbit) e Jacopo Silvestri (Vibora/Crossed, Farah Rud/Baudelaire).
R.O.T.S.W. > Year Of The Snake
(CD – Italian Extreme Underground)
I Piemontesi Rise of the Stateless Wolf se ne sono usciti sul finire del 2022 con il secondo ep del loro percorso musicale e direi che a questo punto, se Born Dead/ Year of the Rats poteva essere considerato acerbo, siamo decisamente al punto in cui la band può tranquillamente considerarsi totalmente capace di dare il suo meglio, infatti lo dimostra con questo seppur longevo ep. L’underground sta diventando sempre più esperto di alchimia, il mescolare ingredienti, l’ottenere risultati degni del chimico più esperto, la proposta dei nostri è la medesima del precedente lavoro, ma Born Dead/Year of the Rats non vantava il perfetto equilibrio tra crust e death metal, Year Of The Snake invece, beh potremmo tranquillamente dire che le due sfumature camminano mano nella mano con armonia, senza mai cercare di primeggiare, senza mai spiccare l’una sull’altra. Come ho detto, qui vice l’equilibrio, e siccome l’equilibrio è padrone, va da sé che la potenza ottiene il massimo della resa proprio perché controllata e bilanciata. Ovviamente si parla di un lavoro che basa tutto su una forza ancestrale, su sonorità che sono a tratti tutt’altro che musicali, quanto più rumorose, ma questo contribuisce a rendere il tutto estremamente atmosferico e conferisce quel tocco di amarezza che con queste sonorità è d’obbligo. La pazienza fa parte di questo breve disco, abbiamo pezzi che non si lanciano in una sassaiola martoriante, ma più una specie di tortura psicologica che martella per far sentire di cosa si tratta, ma che riesce anche a far sentire che la band non disdegna qualche tocco di ambient qua e là. È un disco violento e malato, è un disco adatto.
Catorcio > Catorcio
(Vinile – Vollmer Industries)
Catorcio, chi li conosce sa che il nome è tutto un programma, perché effettivamente quando si ascolto il loro noise rock dispari infastidito (così lo chiamano) si ha subito l’impressione di stare ascoltando qualcosa di poco raffinato, un cavallo zoppo, un’auto con le ruote di pietra tutte sbeccate, un trattore con i cingoli accavallati. Qualcosa che non procede con fluidità. Catorcio è il secondo lavoro della band Bolognese, e si riconfermano assoluti maestri nella loro arte, perché stili musicali come questo hanno una peculiarità: ossia se sembra suonato a caso, significa che non abbiamo abbastanza nozioni tecniche per capire cosa stanno suonando. Ci troviamo qui ad aver a che fare con una di quelle cose un po’ à-la Paperoga quindi non di sicuro per qualunque orecchio, ma si può dire senza ombra di dubbio che se si è in cerca di qualcosa di estremamente storto e irregolare come una sorta di Primus ubriachi ma senza esaltazione del basso, questi quattro pezzi sono perfetti.
Full of Hell > Aurora Leaking from an Open Wound
(7″ – Autoproduzione)
L’ultimo Ep dei Full of Hell sembra concepito per essere un piè di pagina di Garden of Burning Apparitions, dati i punti in comune che questo Aurora Leaking From an Open Wound ha con l’ultimo album della band di Ocean City. La titletrack e “Blinding Erasure” strabordano di quell’hardcore che definire semplicemente influenzato dal noise è riduttivo e che ha reso i FoH quello che sono, mentre “Swarming Hornets” (seconda delle tre tracce) è – al pari di “Reeking Tunnels” nell’album dello scorso anno – un degnissimo tributo ai maestri del genere Human Remains. Un buon lavoro, nonostante il taglio decisamente meno sperimentale sia rispetto all’ultimo full-length sia agli Ep cui i ragazzi ci hanno da sempre abituati. Posso dire che è stato davvero un peccato non sentire nessuna di queste canzoni sul palco del Dev Death Fest il mese scorso…
Rabbit > Halo of Flies
(Digitale – Delayed Gratification Records)
Halo of Flies è senza ombra di dubbio uno dei migliori Ep estremi del morente 2022, carico di oscuri presagi e maligni intenti per l’anno venturo. Fuori il 2 dicembre scorso e seconda fatica (dopo un demo di febbraio) dei newyorkesi Rabbit, il lavoro ha tutte le caratteristiche per farsi amare dai metallari più punkettoni: hardcore frenetico, rullate e sventagliate così punk che si sente il fresco della birra in gola, squarci grindcore così violenti e magistrali da far venire il magone anche agli amanti del genere più tiepidi. Il parterre di suoni che popola Halo of Flies è così variegato da sbalordire: si va dall’imponente riff della opener/titletrack al crossover intriso di heavy classico (quell’assolino a metà canzone…) di “Hellmouth”, dall’hardcore quasi sludge di “Pigpen” all’hardcore vero e proprio – fatto davvero come Cristo comanda credetemi – di “Withdrawal From Mass Grave”. Un luccicante opale di nera perfidia, un sabba per le orecchie davvero impressionante.
Vibora / Crossed > Pena
(7″ – Sanpe, XCementerioX, Boslevan, Fresh Outbreak Records, Shove Records)
Lo split che vede coinvolti Vibora e Crossed, due band dalla penisola iberica, è contraddistinto da un approccio singolare: i due gruppi non si sono limitati a condividere un lavoro ognuno con le proprie canzoni, ma hanno lavorato insieme anche alla musica. Entrambi, infatti, hanno composto le fondamenta di due pezzi, lasciando carta bianca agli altri sul completamento di uno dei due, per poi qualche mese dopo registrare le quattro canzoni e rivelare quanto realizzato. Non a caso, l’organicità dello split non passa in secondo piano, e lo si può trattare senza distinguere i pezzi in base al nome della band a essi associati. Tutte e quattro le composizioni si distinguono per una miscela sonora che vede come fondamenta la sfrontatezza dell’hardcore punk, a cui si aggiungono attimi emotivamente struggenti. L’opener “Son Doong” è schietta e abrasiva, con un’impronta vagamente crust punk che si fa sentire senza esitazioni, mentre già dalla seguente “Hacer Llorar” fanno capolino le connotazioni più intense ed emotive del post-hardcore. Il copione non cambia sostanzialmente nella seconda metà, dove il brano più tagliente e sfrontato è “Samin Begiak”, mentre “Vértigo” è contraddistinto da un’intensità nefasta. Un lavoro monolitico e deciso, sicuramente meritevole di considerazione.
Farah Rud / Baudelaire > Split 2 Ways
(Tape – Zegema Beach Records)
Un altro split per chiudere il numero: quello di Farah Rud e Baudelaire vede la collaborazione di due band da continenti diversi che condividono un approccio grezzo e viscerale, con ancora potenziale di miglioramento ma dall’impatto che si fa già sentire. I Farah Rud sono un progetto screamo dall’Indonesia, nazione che negli ultimi anni ha saputo offrire lavori intriganti in questo contesto come quelli di A City Sorrow Built e Melabuh Kelabu. A differenza di queste due band, nelle cui sonorità si ricavano uno spazio fondamentale anche dei tocchi post-rock, i tre brani presenti nello split sono più aggressivi e scellerati, con qualche riferimento emoviolence non proprio timido. Per parlare dei Baudelaire ci spostiamo in Sud America, più precisamente in Cile. Anche loro, come i colleghi dall’Asia, sono una formazione che non può ancora vantare una discografia particolarmente folta, ma le intenzioni sono chiare: il loro stile è al contempo ruvido e malinconico, visti gli struggenti passaggi in pulito. Le sei composizioni totali scorrono particolarmente in fretta, e si arriva rapidamente alla conclusione di uno split senza fronzoli, che si gioca bene le sue carte.