Molta aggressività nel nuovo numero di Screamature, rubrica che come di consueto tiene d’occhio anche le uscite dei sottogeneri più scellerati dell’hardcore, che successivamente riceveranno diverse attenzioni. L’unico lavoro trattato in cui lo screamo appare come influenza musicale primaria è lo split tra Crowning ed Eyelet, che conferma quanto di buono compiuto dalle band durante le loro carriere, poi inizia l’assalto sonoro vero e proprio, innanzitutto con il d-beat dritto al punto dei colombiani T.H.C e successivamente con il sound travolgente dei californiani Scalp. Nella seconda metà dell’articolo spazio per il sound eclettico dei francesi Montagne, prima di spostarsi in Australia, da dove arrivano i MUNT con un deathgrind spietato e in Polonia, nazione d’origine dei Czerń, il cui EP omonimo propone un hardcore a metà tra aggressività e atmosfere asfissianti.
Articolo a cura di Jacopo Silvestri (Crowning/Eyelet, Czerń), Antonio Sechi (T.H.C, Scalp) e Davide Brioschi (Montagne, MUNT).
Crowning / Eyelet > Split
(7″ – Zegema Beach Records, The Ghost is Clear Records)
Quello tra Crowning ed Eyelet è uno split che cattura l’attenzione non solo per la collaborazione tra due band che negli ultimi anni hanno fatto ottime impressioni con le proprie composizioni, ma anche perché permette loro di unire due stili differenti, ma a modo loro granitici. Il lavoro, pubblicato in vinile 7” da Zegema Beach Records e The Ghost Is Clear Records, è essenziale e diretto, composto da due tracce per band. I primi a dire la loro sono i Crowning, che non si discostano particolarmente dalla proposta del loro album Survival / Sickness e del più recente split con i Naedr: il loro screamo ha un impatto spietato e viscerale, e bastano tre minuti in totale per travolgere con quest’energia veemente. Con gli Eyelet, invece, le atmosfere si fanno più tetre e minacciose: nel loro caso alle fondamenta screamo si uniscono delle lancinanti influenze sludge che colpiscono per la loro intensità. Il terzetto dal Maryland continua così a dimostrare il potenziale dell’unione imponente tra questi due stilli. Per entrambe le band questo split rappresenta un piccolo passo in avanti delle rispettive carriere: non viene stravolto nulla, ma è un ascolto dritto al punto da tenere in considerazione.
T.H.C > Demo – Total Hardcore
(Digital – Autoprodotto)
I T. H.C. Sono una band fresca fresca proveniente da Santa Marta, Colombia, come asserisce la band stessa “il porto più malfamato d’America” e da un posto del genere non potrebbe che arrivare musica del genere. Total Hardcore è una demo, la prima per questi ragazzi. Si tratta di un D-beat talmente grezzo che i Discharge al confronto sembrano dei raffinati dandy di metà ‘800. Otto tracce di iraconda belligeranza con chitarre ai limiti del comprensibile e un basso che tira su un muro sonoro spessissimo. Batteria da uragano e voce fatta di sole grida in spagnolo con alti e bassi nei volumi; questo è il perfetto connubio di elementi per un dischetto perfettamente soddisfacente se si va in cerca di musica che ha il dissenso e il disagio più adamantini nel suo essere.
Scalp > Black Tar
(Vinile – Closed Casket Activities)
È una scheggia questo ep, nell’arco di più o meno dieci minuti gli Scalp lanciano addosso quello che sembra un tortura infinita, fatta di unghie estratte con le pinze e denti cavati a martellate. Black Tar ha tutto un suo carattere deviato che a tratti può ricordare la violenza psicologica di un disco antiartistico come Pure Misanthropia del progetto ormai abbandonato Stalaggh, ma per fortuna qui c’è della musica, non gente che grida disperata. A parte questo, l’assalto frontale crust che gli Scalp adottano qui è qualcosa di estremo a dir poco, non si fanno neanche problemi a lasciare che il feedback delle chitarre entri nelle orecchie di chi ascolta in maniera disdicevole, fa tutto parte giustamente della preziosa essenza che questo breve disco racchiude. Vien da pensare una volta terminato l’ascolto che se ne vorrebbe ancora, pensiero ancor più rafforzato dalla durata dei brani che non raggiunge mai la soglia dei due minuti, però va bene, non ci vogliono lungaggini, la musica è furiosa al di là dell’artificio. A tratti par di ascoltare gli Implore, ma non pensiamo di trovare una copia della band tedesca, sono due sfaccettature diverse dello stesso cristallo.
Montagne > Poudreuse
(CD, Tape – Abyssal Cult Records, APB Records, Sleepy Dog Records, A la derive records, Minga Records, Fresh Outbreak Records, Black Terror Records, Out of Thunes Records)
I Montagne vengono da Parigi e suonano un death metal intimista, ricchissimo di richiami, nella scrittura e nella produzione, al blackgaze e al post hardcore. Queste caratteristiche sono sublimate nell’ultimo lavoro dei nostri, Poudreuse, EP di tre tracce e una intro che non potranno non richiamare, almeno un po’, la vostra attenzione. Già il primo brano dell’opera, “Noire est la piste”, è uno smuovi-coscienze fatto e finito: lo scream frammentato della voce si dispiega su imponenti riff death, senza risparmiarsi nemmeno alla sezione sludge che sventra ed eviscera il brano – e con lui l’ascoltatore – nel finale. L’incedere imponente e cadenzato di “Miroir Miroir” apre la seconda parte dell’Ep, un’articolata coppia di brani – al già nominato si aggiungono i sette minuti di “Au centre tranquille du malheure” – che miscelano sapientemente sventagliate post-hardcore a slanci post-metal, senza risparmiarsi la furia beneducata e composta che apre l’ultima traccia del lavoro, che si conclude però con un arioso monotono, come a lasciare in sospeso, a libera interpretazione, tutto quanto detto nel quarto d’ora precedente. Nel caso non li conosciate, recuperate tassativamente i Montagne, e in particolare questo Poudreuse, forse uno dei migliori EP estremi degli ultimi anni.
MUNT > Pain Ouroboros
(Digitale – Indipendente)
Spietato e pesantissimo, il deathgrind degli australiani MUNT si propone come sintesi di diversi generi musicali, dal grindcore al death vecchia scuola, dal metal più tecnico al core dei primi duemila. Proprio con un l’inno quasi deathcore di “Children of Delirium” si apre Pain Ouroboros, ultima manifestazione dei nostri e culmine del lavoro svolto dal 2016 ad oggi (tutto sulla breve distanza). Si continua con la quadratissima e cadenzata “The Vengeful March”, la cui spinta grind è impreziosita da un breakdown micidiale che introduce alla seconda parte del breve album. “Communion of Thorns” si distende su una maggior attenzione data alla sei corde, mentre il metalcore della conclusiva “Apostate Sermon” dilaga nel technical death di Revocation e compari. Pain Ouroboros è una gioia – se così vogliamo chiamarla – per le orecchie, e la sua sapiente commistione di generi che spazzano l’intero panorama estremo, accomunati dalla potenza realizzativa e dall’ottima produzione, non può che mandare alle stelle l’aspettativa per il primo full-length dei MUNT.
Czerń > Czerń
(Tape – Vita Detestabilis Records)
Dopo aver debuttato nel 2020 con Zgliszcza, i polacchi Czerń ne hanno ripreso la medesima oscurità reinterpretandola nell’EP self-titled uscito originariamente a fine 2022, la cui versione in cassetta è stata pubblicata da Vita Detestabilis Records nello scorso mese di gennaio. L’hardcore della band da Varsavia si contraddistingue per i richiami ad altri generi che sono costanti nell’ascolto, e tutti sono accomunati da connotazioni possenti e tenebrose. Nei quattro brani che compongono il lavoro c’è modo di passare da tratti death metal dritti al punto (“Półśrodek”) a frangenti hardcore altrettanto spietati (“Pustka”), senza dimenticare degli accenni sludge. La schiettezza di molti passaggi però non prende il sopravvento in solitaria, infatti non esitano a mettersi in mostra anche settori atmosferici, che trascinano in un vortice asfissiante, tendenzialmente posizionati agli estremi del lavoro. Sono le tenebre a regnare in questo EP, galvanizzate da un assortimento di sonorità efficace, che si evolve tra scelleratezza e intransigenza in quattro tracce travolgenti da ascoltare tutte d’un fiato.