Questo nuovo numero di Screamature si apre con i suoi estremi opposti dal punto di vista della violenza sonora: prima lo split che vede coinvolti Failure Addict e Potion travolge tra grindcore e hardcore dagli spunti black metal, senza disdegnare qualche aggiunta più poliedrica, mentre in seguito i nostrani Blame Art ci abbracciano con le loro sonorità affascinanti e misteriose, frutto di uno shoegaze che va a intrecciarsi con numerosi altri generi, tra cui emo e post-metal. Si prosegue con il nuovo EP dei The Hope Conspiracy, gruppo hardcore punk storico e senza fronzoli, mentre coi Godot si esplorano territori più eterogenei e caleidoscopici. In chiusura due esordi: quello dei Llewelyn, con un post-hardcore misto a noise rock accattivante e ossessivo e quello dei Valeska Suratt, artefici di un emoviolence dalla notevole indole aggressiva e veemente. Buona lettura!
Articolo a cura di Davide Brioschi (Failure Addict/Potion, Blame Art), Antonio Sechi (The Hope Conspiracy, Godot) e Jacopo Silvestri (Llewelyn, Valeska Suratt).
Failure Addict/Potion > Split
(Tape – Autoproduzione)
Grindcore – se davvero vogliamo dare un’etichetta ad un tale guazzabuglio di suoni e accostamenti – poliedrico e sfaccettato quello che Failure Addict (dal Canada) e Poison (dalla California) assemblano con questa collaborazione. La musica di entrambe le formazioni corre a velocità supersonica, fondendo rullanti sfrenati e sei corde spinte contro il limite – a tratti superato, non mentirò – della cacofonia. Il lavoro è aperto dal lato dei Failure Addict, che coerentemente titolano il proprio unico brano “Side A”, e dal loro violentissimo hardcore innervato di black metal e grindcore. Urla sguaiate, riff disordinati e batterie utilizzate per sottolineare e dare il ritmo generale (veloce – più veloce – ancora più veloce) ad un unico mosaico cangiante di sette minuti. A tratti sembra di ascoltare technical death, a tratti sembrano i primi Pig Destroyer (quelli di Prowler In The Yard per intenderci), a tratti non si capisce davvero un cazzo. Il lato B dello split non si rivela meno incasinato della controparte, nonostante la distinzione in brani operata dai Poison. Più che canzoni vere e proprie, questi frammenti (che raramente superano il mezzo minuto di durata) sono schegge che, una volta conficcate nei timpani e nei palati, formano uno sgraziato ghirigoro di grind e punk, con sprazzi di improvvisazione pura che danno un sapore jazz all’insieme, quasi stessimo ascoltando dei The Dillinger Escape Plan che vanno di fretta (e che stanno facendo bungee jumping senza l’elastico). È roba troppo strana per poter essere più precisi di così, davvero. Ascoltate.
Blame Art > Simbionti/Sorgenti
(Digitale – No Funeral Records, Non Ti Seguo Records, Clever Eagle Records, Dancing Rabbit Records)
La doppietta di tracce che compone Simbionti/Sorgenti rappresenta l’anticipazione del prossimo album dei milanesi Blame Art. Il lavoro prende le mosse da dove i nostri l’avevano lasciato con Non è mai del tutto buio: uno shoegaze strutturato dalle tinte dark, che in questa nuova esperienza viene affiancato da ispirazioni post-metal e alternative. Il primo brano, “Simbionti” – appunto – è una potente carica post/emo, che apre con un’ariosa overture di chitarre e si chiude con una sfuriata screamo con i controcazzi, scritta attingendo ai grandi manuali del genere e realizzata ancora meglio. Interessantissimo il riff finale, dai toni sibillini e psichedelici. “Sorgenti” è una ballata misteriosa e ammaliante, dal testo estremamente evocativo e dall’ispirazione dark rock, in cui chitarre altissime e batterie fumose cospirano per affascinare e coinvolgere l’ascoltatore, che si ritrova a dibattersi tra fumi di nebbia fino al drammatico epilogo, un assalto di noise e distorsioni, in cui la melodia sublima in rumore e le emozioni di disgregano. Un lavoro parecchio interessante quest’assaggio regalatoci dai Blame Art, che nonostante non abbia la pretesa di cambiare la direzione del genere potrà soddisfare ampiamente tutti gli appassionati di post-hardcore e screamo.
The Hope Conspiracy > Confusion/Chaos/Misery
(Digitale – Deathwish Inc.)
Le leggende viventi di Boston tornano a farsi sentire con un breve EP. Confusion/Chaos/Misery è un lavoro come uno di quelli a cui la band ha abituato tanti affezionati, cioè rabbioso e potente. Nulla di nuovo per chi già li conosce bene, ma in fin dei conti da gente come loro non ci si aspetta nulla di nuovo. La furia hardcore pesta forte in circa dieci minuti, l’espressione vocale è ancora imbattibile, quella parvenza di assoli che sono in realtà quattro note scagliate con maleducazione in mezzo al macinare del drumming selvaggio, fanno di questo dischetto un ulteriore massacro sonoro che sì è pacchiano come sempre, ma maledettamente soddisfacente.
Godot > To God
(Digitale – Autoproduzione)
Ermetici i Godot. Provenienti da Denton, Texas, si definiscono emo sludge, la verità è che è davvero difficile inquadrare la fornace in cui viene forgiato questo abominio sonoro e non ce ne sarebbe bisogno a dire il vero, ma volendo essere precisi si riconosce tutta una serie di elementi che insieme danno vita al marasma abrasivo di questo EP. Si sente del noise rock, hardcore, punk, crust, sludge, mathcore e talvolta fanno capolino dei riff molto riconducibili a qualcosa di ben più metal. Alla voce sembra esserci una persona con serie turbe emotive che ora strilla come un internato e ora quasi parla annoiato, una sorta di John Lydon schizofrenico. L’EP se la giostra in sei pezzi della durata abbastanza variabile che può andare dai due ai quattro minuti in cui c’è sempre tempo per dimostrare dove la follia sonora può spingersi, esprimendo uno stato d’animo imperscrutabile. Si tratta di un ascolto assolutamente consigliato perché un amante di una specie di versione primitiva e deviata dei Dillinger Escape Plan potrebbe aver solo di che godere.
Llewelyn > Disposable Culture
(CD – The Ghost Is Clear Records, Tape – Tomb Tree Tapes)
Dando un’occhiata in rete non si trovano molte informazioni sui Llewelyn, ma ciò che basta sapere è che sono un quartetto da Dallas la cui musica è tremendamente abrasiva sin dai primi attimi dell’ascolto. Parla da sé, infatti, il loro primo EP, Disposable Culture, uscito in cassetta per Tomb Tree Tapes e in CD per The Ghost Is Clear Records, il quale presenta un hardcore granitico dalla forte influenza noise rock. Siamo di fronte a uno stile minimale e ossessivo, basato su strutture non particolarmente articolate ma efficaci, che riescono con concretezza a colpire nel profondo e a generare uno statuo perenne di angoscia. Mostrano affinità con la musica anche i testi, focalizzati su continue sensazioni di disagio e di sconforto, e andando così ad alimentare l’oblio avvilente che si amplia col susseguirsi dei brani. L’EP, infatti, mette subito in mostra il lato accattivante delle canzoni, al quale si aggiungono man mano le sensazioni più assillanti citate in precedenza, che si esprimono con più vigore nelle conclusive “Dorian Gray” e “Ritual”. Questo crescendo d’impeto dimostra anche la solidità dal punto di vista compositivo di Disposable Culture, un debutto concreto per la band texana in cui ogni pezzo si ricava il suo spazio.
Valeska Suratt > Nameless
(Tape – No Funeral Records)
Altra band che ha pubblicato un EP d’esordio diretto e senza fronzoli sono gli statunitensi Valeska Suratt, il cui debutto Nameless è uscito inizialmente come autoproduzione in digitale a marzo, per poi venir pubblicato in cassetta nello scorso mese di ottobre da No Funeral Records. Il loro è un emoviolence destabilizzante e possente, caratterizzato da un cantato disperato e dei riff sferzanti che non lasciano feriti. L’elemento chiave dell’ascolto è l’intensità che ne caratterizza l’intera durata, con le ritmiche serrate che anche quando si lasciano andare a delle apparenti aperture mantengono una consistenza ferrea, tra midtempo comunque lancinanti e un paio di fugaci pause in pulito che dall’aurea comunque oscura. In questo connubio tra i primi Jeromes Dream e i Gillian Carter, spicca anche una certa indole metal, in primo piano in brani come “Rivets” e “Root”, ma sempre dietro l’angolo, bilanciando bene la sua aggressività con l’impatto più viscerale della componente emoviolence/screamo. Sei brani caotici e irriverenti con cui i Valeska Suratt fanno capire di che pasta son fatti: il loro sound sicuramente del potenziale da esplorare in quanto a personalità, sperando di non perdersi tra le numerose band simili, ma intanto mette in chiaro la sua veemenza, che non passa inosservata. Formazione senza dubbio da tenere sott’occhio.