Il terzo appuntamento con la nostra rubrica Screamature è interamente dedicato alle uscite brevi tutte italiane che più abbiamo apprezzato negli ultimi mesi. Questo è l’unico paletto che ci siamo posti, giusto per evidenziare come anche il periodi così torbidi – o forse proprio per questo – nel nostro Paese possa venire fuori della grande musica underground. Ognuno a suo modo: con le carezze alternative, emo e indie di Low Standards, High Fives, F4 e Mother, o le legnate senza posa tra grind, hardcore e blackened crust di Hungry Like Rakovitz, Locked In, Tsubo e dello split tra One Day In Fukushima e Aftersundown, o ancora della roba del tutto fuori di testa degli Alaskan Pipeline. Ce n’è un po’ per tutti insomma: non perdetevi queste rapide pillole sulle ultime rapide uscite nostrane.
Articolo a cura di Santo Premoli, Davide Brioschi e Francesco Paladino.
Low Standards, High Fives > How Personality Works
(Vinile – Engineer Records, No Reason Records, Longrail Records, Scatti Vorticosi, Dotto)
Preceduto dall’uscita del singolo 22.11.55., il nuovo EP del quintetto torinese dei Low Standards, High Fives esce a dicembre per l’inglese Engineer Records e le italiane No Reason, Longrail, Scatti Vorticosi e Dotto. Il singolo era uscito a maggio, in digitale, ed era una sicura e affettuosa carezza fraterna, una progressione di terso e languido emo-indie di una tenerezza matura e immacolata; una nenia senza sussulti che però qui, nel contesto dell’EP, svolge l’importante ruolo di congedo. Tornando ai tre inediti, invece, quello che salta all’occhio, oltre alla godibilità dei pezzi, è il songwriting di altissimo livello portato a termine da uno straordinario talento compositivo. È una musica fragile e delicata quanto il cristallo, ragionata e sentita; una mescidanza delicata e struggente di alternative rock, emo ed indie, esaltata da progressioni semplicemente esatte che si accendono nei momenti giusti e dalle tre voci che arricchiscono di temperamenti le loro canzoni, screziandole di sfumature inattese. How Personality Works funziona, piace ed è un lavoro dalla caratura internazionale. Se vi fosse sfuggito avete l’obbligo di andarvelo a ripescare.
7.5
F4 > Lato A / Lato B
(Digitale – To Lose la Track, General Soreness)
Esce per To Lose la Track e General Soreness il sette pollici immaginario di F4 – la release infatti è solo digitale -, dal titolo Lato A / Lato B, che segue a ruota il lavoro di esordio, Camaò, uscito giusto l’anno scorso. E come ogni 45 giri che si rispetti da un lato c’è il singolo, in questo caso parliamo di “25-26”, dall’altro una cover. Ma cosa suona F4 e cosa ci fa nella nostra rubrica? Suona quello che lui stesso chiama bossa emo ed è qui proprio per questo. Per vibrazioni, qualità del sentire e un surplus emozionale mimetizzato da minimalismo. È un cantautorato emo soffuso ed imbevuto di disimpegno, vago e leggero come una nuvola, inafferrabile. Proprio su queste coordinate si inscrive ed insiste la scelta della cover, “I migliori anni” di Renato Zero (oh yes!) e il suo riarrangiamento. Lato A / Lato B è un florilegio di candore, una ventata di serenità e pace, sghembo, strafottente eppure dannatamente serio.
7.0
Locked In > Not Dead Yet
(Digitale – Epidemic Records)
Arriviamo anche al bellissimo EP che hanno tirato fuori i perugini Locked In. Fermi da un bel po’ di anni, decidono di rimettersi in gioco proprio a cavallo di questo periodaccio e i risultati sono strepitosi. Not Dead Yet è uscito in digitale per Epidemic Records ed è il primo di una serie di due EP. Il loro è un glorioso hardcore metallizzato che riecheggia la New York di Sick Of It All e Terror e i Locked In sono dei vecchi lupi che maneggiano benissimo gli arnesi del loro mestiere. La scrittura insiste sulle coordinate di un genere che oggi può anche sembrare un po’ datato e privo di hype ma il combo perugino è ispiratissimo e, sebbene conduca la propria vicenda musicale con cattiveria e bava alla bocca, è capace di generare episodi sorprendenti. I Locked In non sono solo una grattugia, un trattore, un tritacarne ma sui loro pezzi ci ragionano su un bel po’. Ecco allora che le linee vocali non servono solo a scartavetrarci la faccia ma sono funzionali alle tirate epiche, a dei momenti ricchi di pathos e ad impressionanti aperture a squarciagola. I breakdown, quando ci sono, non sono messi là giusto perché la tradizione ci dice che devono esserci ma sono pieni di senso ed efficaci negli equilibri dei brani. Not Dead Yet non è solo una sanguinaria lezione ex cathedra ma è un EP che colpisce allo stomaco, non già per stenderti, ma per raggiungere le viscere e smuoverle.
7.5
Alaskan Pipeline > Jenny Got a Taste of the Alaskan Dragon Today
(Tape – Dischi Devastanti sulla Faccia, Fresh Outbreak Records, Still Fuking Angry)
Hanno esordito il 14 febbraio con il loro primo EP, sono di Bologna e suonano quasi sempre alla cazzo di cane (o almeno così mi dicono nel press kit). Sono gli Alaskan Pipeline, band estrema che, a quanto pare, prende il nome da un oleodotto americano e che mischia, secondo me non così tanto alla cazzo, hardcore e jazz, grind e noise, in una miscela colorata ed esplosiva. Il lavoro ci butta in faccia episodi come la potente “Half Human”, col suo incedere sincopato che mi ha fatto venir voglia di rimetter su i The Dillinger Escape Plan o “Concentration”, un delirio jazz-core dalle linee di basso folli e divertenti (non altrettanto gli ansimi iniziali, roba che mi faceva impressione quando avevo dodici anni, non oggi che ho ascoltato le peggio porcate). Interessantissime le vocals, sempre pronte a sorprendere dando un nuovo punto di vista sulla musica su cui, ora gutturali e buie, ora gracchianti e screamo, si destreggiano (vedi “Lala Land” o la stessa opener). Un buon esordio per i nostri bolognesi, che spero possano presto regalarci un full altrettanto folle e brioso, magari con meno sample tra un brano e l’altro (li perdono solo ai Mortician).
6.5
Aftersundown / One Day In Fukushima > Barbaric Scenario
(7″ / Tape, ZAS Autoproduzioni, Deevolution Records, Barbarie Autoproduzioni, Fresh Outbreak Records, Italian Extreme Underground, Impeto Records, Zero Produzioni, 17 Records Distro, PerettaCore, Kaspar House, Disastro Sonoro, Inmundo Records, Skitnaste Records, Bolzkow Records, Giorni Neri)
Ha visto la luce il 18 dicembre dello scorso anno l’ultima fatica degli italiani One Day In Fukushima, che li vede affiancarsi agli indonesiani Aftersundown in uno split dalle tinte polemiche e punk (sempre che un termine del genere abbia ancora senso), messo in musica nella maniera più cattiva e ignorante che possiate immaginarvi. Aprono le infernali danze i grinders indonesiani, che si presentano subito con tutte le loro peculiarità. Musica massiccia e opprimente, un muro di suono che si scaglia in ondate rapidissime, ritmate dal crudo suono delle pelli, contro chi ascolta (si veda “Dope”). Il riffing è serrato e faticosamente intellegibile, vittima consenziente dell’amplificazione sgranata e opprimente, rara da incontrare a queste latitudini musicali ma che trova sempre una calda accoglienza presso il sottoscritto. Gli ODIF sono più classici, con le loro ritmiche sparate e incredibilmente Grind (con la G maiuscola), che non deviano mai troppo verso l’hardcore o il punk: gli oltranzisti dello stivale sono loro e ci piace tenerli così, duri, puri e sporchi. Loro, tra l’altro, è la corona (arrugginita e sporca) della collaborazione: “The Leviathan” è il miglior brano del lavoro.
7.0
Hungry Like Rakovitz > Vile
(Tape, autoproduzione)
Penultimo concerto a cui ho partecipato prima della pandemia (quella sera insieme a Bologna Violenta e Messa) gli Hungry Like Rakovitz sono una delle punte di diamante della scena black-crust italiana. Diamante sgrezzato malamente, a lasciarne gli spigoli vivi e taglienti, dall’uscita di Vile, fuori nella notte del 31 dicembre, giusto giusto per mandare affanculo a modino il 2020 (o per accogliere come si deve il 2021?). Comunque sia, Vile ci presenta i nostri in una forma, se non migliore, almeno al pari di quella che dimostrarono di avere con l’incredibile full length Nevermind The Light (2019): si parte in quarta con la sfuriata hardcore di “The Overwhelming Need To Let You Down” che fa da antipasto alla rabbia bestiale di “Permanent Damnation”, che mescola in un’unica palla di nera pece black e punk, il groove capellone del refrain e un intermezzo fangoso e ronzante (qualcuno ha detto sludge?). Tra le due c’è però una sorpresa: “My Wild Love” dei Doors, solenne e inquietante. Una perla. Si chiude con “Inadequate”, lenta e crepitante, che sembra l’allontanarsi di una temporale. E questa breve comparsata dei nostri altro non è che una tempesta, buia come il fondo del mare e con bisturi affilati al posto delle gocce di pioggia. Gli Hungry Like Rakovitz sono qui per non lasciarvi scampo, pronti a confermarsi una delle realtà migliori della scena estrema.
8.0
Tsubo > The C-19 EP
(Digitale, autoproduzione)
La Befana quest’anno mi ha portato tanto carbone e The C-19 EP, ultimo lavoro dei latinensi Tsubo uscito il 6 gennaio scorso e che, già dal titolo, dà un’idea mica tanto vaga del tema che il gruppo ha voluto mettere in musica. L’EP si divide in 8 episodi (di cui un paio sopra i due minuti e mezzo) tra cui figurano quattro riuscite cover, particolarmente apprezzata da chi vi scrive quella degli immensi Brutal Truth, “Kill Trend Suicide”. Dovessi consigliare a un novizio del grind un album da cui cominciare credo che un pensiero andrebbe a The C-19 EP; non perché penso farà la storia o sia un punto di svolta per la musica estrema ma perché al suo interno trovano sfogo tutte le anime del genere, merito soprattutto delle succitate cover di grandi formazioni: dalle raffiche di “Utopia Di Asservimento” al punk di “Police Bastard” (dei Doom l’originale), passando per “Zoe” coi suoi ritmi sincopati. Gli TSUBO rendono, con la loro ultima fatica, uno spaccato della nervosa e irritabile (e irritante) Italia dell’epidemia: il rancore verso le istituzioni, la sensazione di vivere in un periodo storico “congelato” e che ci vede spesso prigionieri, più che dei decreti e delle regole, della nostra stessa rabbia.
7.5
Mother > Dillydallying
(Flexi-disc – Fat Boys Don’t Cry Records, Youth Of Today Records, Fresh Outbreak Records, Non Ti Seguo Records, Brigante Records, Rocknative Shop)
A quasi due anni di distanza dall’ultimo EP Love Vision si rifanno vivi i veneti Mother, e in grande stile. Dillydallying è un singolo pubblicato il 14 febbraio in digitale e in formato flexi-disc (prima volta in vinile per la band) in edizione limitata a 250 copie, di cui le prime 100 avranno in allegato una speciale fanzine con gioco di carte esclusivo, scatti inediti di alcuni live e di pezzi di vita del gruppo. Formato fuori dal comune per una band che ha fatto del non allinearsi il proprio leitmotiv, scegliendo di suonare hardcore filtrandolo attraverso l’esperienza della Revolution Summer – ovvero quando un pugno di esponenti della scena punk di Washington D.C. decise, nell”85, di sbarazzarsi dell’attitudine violenta e machista propria di quella musica, mostrandosi in tutte le proprie esigenze e debolezze, ponendo insomma le basi per quello che qualche anno dopo avremmo chiamato emo.
E difatti la musica dei Mother è assolutamente libera da ogni preconcetto, capace di far convivere con grande abilità l’hardcore e l’emo con introspezione grunge, eclettismo alternative anni ’90 e disimpegno power pop, ancora una volta con forte piglio internazionale. “Dillydallying” è un piccolo gioiello, uno di quei brani scanzonati e freschi che dietro ai propri colori celano ombre nostalgiche, in un risultato finale agrodolce che sembra la descrizione in musica di un lockdown primaverile. C’è anche una bonus track, non ancora disponibile in streaming, che è una versione elettrica di “Heights”, che a sua volta era la ghost track di Love Vision: non possiede la forza del singolo ma ne costituisce la perfetta controparte, ricalcandone i contorni più grigi. Uscita brevissima ma intensa, per noi assolutamente imperdibile.