L’ultimo episodio di Screamature per questo 2021 è, in realtà, tutto muscoli e poco screamo. Siamo qui di fronte a una serie di uscite brevi e incazzate, sotto il segno del grindcore in varie sue forme (gli esordi di Bone Trower e Pugnale, lo split fra Suicideforce e Slund), del metallic hardcore (Riversleem) o del crust (lo split fra Thørn e Ognemot). In chiusura la proverbiale quiete dopo la tempesta, con lo split tra Bleached Cross e Shamewave, in territori shoegaze e post-punk. Buona lettura.
Suicideforce / Slund > Split
(7″ -Psychocontrol Records)
E’ uscito il quattro marzo scorso l’EP che vede la collaborazione tra due realtà estreme tutte europee: da Alessandria i Suicideforce uniscono le forze con gli sloveni Slund, a produrre una bombetta dal valore grindcore tutt’altro che modesto. Gli italiani aprono il proprio contributo di cinque brani con un sample dal capolavoro di Pascal Laugier, Martyrs (già una garanzia), e ci affettano davanti una abbondante porzione di hardcore grind che, pur non presentandoci nulla di nuovo è, con le sue vocals serrate e il suo arrangiamento sferragliante, di godibilissima fattura. Forse più interessanti sono i successivi episodi del lavoro, snocciolati dagli Slund dopo essere stati confezionati nella loro particolare commistione di grindcore e sludge (comunque meno presente qui che nell’ultimo album, Slundanoid). Il cantato è gutturale e gorgogliante, le distorsioni sfociano nel noise più ignorante e i samples à la Mortician rendono il tutto ancora più divertente (vedi quell’ignorantata di “Gasoline”). Nel complesso un lavoro, se non interessante dal punto di vista sperimentale, sicuramente solido e di intrattenimento per qualunque fan del genere.
7
Bone Tower > we all will die one day
(TAPE – No Funeral Records, Fresh Outbreak Records)
Da Halifax, Nuova Scozia, arriva il grindcore supersonico dei Bone Tower, che segnano il proprio esordio con nemmeno dieci minuti di una musica potente, dal titolo lapidario, feroce e spietata ma al contempo articolata e sapientemente organizzata. I ragazzi non sono la classica band dall’unico, lodevolissimo per carità, scopo di fare casino: la costruzione del breve lavoro ricorda quella impostata dai Full of Hell per i propri ultimi album, masse informi e ribollenti sotto le quali si celano però le sapienti mani di un malvagio demiurgo. Un harsh-grind che della band di Ocean City non ha solo l’impostazione ma anche lo stile, mescolando sventagliate di becero grindcore (notevole il riff di “mangled wounds”) a ben più originali tappeti noise elettronici, a cesellare nere gemme come “empty cave” o “the sun”, ibridi malati tra gli Health più oscuri e i Primitive Man più distorti. Se anche voi siete fan del lato più morboso e straziato della musica, dovete senza dubbio tenere d’occhio questi canadesi.
8
Thørn / Ognemöt > Split
(TAPE – Black Terror Records, Perdun Records, Fresh Outbreak Records)
Sotto l’egida della nostrana Fresh Outbreak Records, i milanesi Thørn e gli estoni Ognemöt, da me scoperti grazie a questo EP, uniscono le forze inserendo due tracce a testa in uno split di buona fattura, che, forte del black-crust degli italiani e del martellante hardcore dei nord-europei, regala una decina di minuti di scapocciate. Aprono le danze i Thørn, che alternano “Drowning”, un brano in cui le sferzate black con cui i nostri amano intridere il punk la fanno da padrone, a una riuscitissima cover di “Headless/Heartless” degli His Hero Is Gone, che chiude l’ambo con uno strascicato riff sludge. Meno ricercata ma non meno divertente è la sezione degli Ognemönt, aperta da un onesto riff di hardcore classico, scandito da un’incalzante e secca batteria, a mettere subito in chiaro le cose. A concludere il lavoro c’è “100 Years in Shit”, dalla lunga intro strumentale molto catchy, a tendere sul death metal, che però accosta piano una porta che si sarebbe potuta chiudere con più violenza. A nota c’è da dire che fa sempre piacere dare un ascolto a lavori di questo tipo, che a vecchie conoscenze ne accostano di nuove, per non dimenticare mai quanto vasto sia il mondo dell’underground.
7
Pugnale > Throne Of Laments
(TAPE – Autoproduzione)
Nata in tempi recentissimi, quella dei Pugnale è andata ad aggiungersi all’insieme di realtà che ci rendono tanto orgogliosi della scena hardcore italiana. Usciti il 2 novembre scorso con l’esordio Throne of Laments, i nostri ci sputano addosso un quarto d’ora di musica sferragliante, fatta di riff laceranti e vocals sguaiate, strappi nel tessuto, ruvido e smagliato quanto volete, ordito dalla strumentazione. Non trascurabili sono, per l’economia del lavoro, le influenze grindcore e death che i Pugnale sapientemente inseriscono tra una cavalcata hardcore e l’altra, a dinamizzare un genere che, per sua natura, se non ibridato, non è dei meno ripetitivi. Si passa così da tracce calate in pieno dai putridi USA dei ’90, come “Of Ruins and Remains”, a brillanti innesti di Cryptopsy su Wolfpack (senza mai purtroppo raggiungere la malignità dei primi), come nell’ottima “Crown Of Worms” o in “Devoured By Iniquities”. Sia chiaro: i ragazzi non portano nulla di nuovo sotto il sole, limitandosi a ben realizzare quella miscela ormai collaudata di balck e crust, death e hardcore in cui la scena nostrana, oramai, può dirsi specializzata. Ciò non toglie nulla al valore intrinseco del lavoro, eseguito con una passione per la materia che si può tagliare col coltello (o col pugnale…) e immediatamente apprezzabile da parte di chiunque mastichi i prodotti dell’ambiente sopra descritto.
7.5
Riversleem > A Debut Release By Riversleem
(TAPE – Zegema Beach Records)
Esordio in pompa magna per il quartetto canadese dei Riversleem. Un EP di quattro tracce, intitolato molto eloquentemente A Debut Release By Riversleem uscito in digitale e in cassetta per la Tomb Tree Tapes. Quattro brani, dicevamo, in cui il quartetto sfoggia già una cifra personale, convincente e ispirata. Un viaggio di una manciata di minuti che spazia da metallic hardcore e screamo toccando persino momenti di mathcore e grind. Le sfuriate a rotta di collo fanno il paio con stacchi vigorosi e breakdown sinceri, mentre per certe cose ricordano i Norma Jean di Bless the Martyr and Kiss the Child ma meno voluminosi, più esili e scattanti ma ossessivi, alienati, caotici, lancinanti, tragici e contorti allo stesso modo.
7
Bleached Cross / Shamewave > Split
(TAPE – No Funeral Records)
Esce invece per No Funeral Records la cassettina dello split fra Bleached Cross e Shamewave. Un’uscita che può sembrare un po’ atipica per la label dell’Ontario, non già per il formato, ma per i generi, se non si tenesse conto del fatto che oltre a tanto screamo la No Funeral spazia tantissimo (sludge, experimental). Per l’occasione ci propone due band, due brani a band, che non avevo mai sentito prima. I Bleached Cross, che hanno all’attivo un paio di demo, e gli Shamewave che invece hanno già due tape all’attivo. I primi fanno uno shoegaze impregnato di post-punk, sognante, mellifluo, con i Novanta dietro l’angolo, che però diventa teso e tragico, con delle urla in sottofondo parecchio inedite per il genere. Decisamente più shoegaze la proposta degli Shamewave, precisa, impeccabile nella sua vaporosità. Con gli album dei My Bloody Valentine ancora sul giradischi, gli Shamewave non arrivano però mai ad essere frastornanti ma anzi languidi, malinconici, carezzevoli. Il secondo brano è maggiormente intriso da un piglio alternative che mi fa saltare dalla sedia, specie per quei chorus stupendi, una roba alla Title Fight, se si vuole. Quattro brani azzeccati per questo autunno di cui abbiamo già le palle piene.