Gli australiani Seims non sono esattamente dei novellini, dato che sono in giro da un po’ di anni, eppure forse non molti conoscono le loro gesta sonore che partono da un math rock tecnicissimo che si dipana poi in mille altre strade. Questa release intitolata 3+3.1 non è esattamente una nuova pubblicazione, ma si tratta di un’edizione speciale che raccoglie due album, cioè 3 e 3.1, usciti rispettivamente nel 2017 e nel 2019. I dischi fanno parte di un concept abbastanza inusuale e complesso riguardante il CMYK, ovvero la sigla di Cyan, Magenta, Yellow, Black (ciano, magenta, giallo e nero), ovvero ancora: “Un modello di colore a sintesi sottrattiva, che viene usato nei dispositivi di stampa a colori sia digitali che nelle grandi macchine e consiste materialmente nella miscelazione di sostanze che, riflettendo solo una parte dello spettro luminoso, appaiono di uno specifico colore, quali inchiostri, pigmenti, vernici.”
Andando poi al disco in questione non è così semplice descrivere la mostruosa mole di cose che accadono durante l’ascolto. La prima triade di canzoni è talmente variegata da lasciare quasi straniti. “Cyan” mescola psichedelia e post-rock non mancando mai di inserirci il giusto groove per poi lasciarsi andare ad un elettronica visionaria, inserti di archi ed ottoni ed un mood quasi jazzato. Già qui si percepisce che il quartetto (nato però come una one-man band) vuole mostrare i muscoli ma forse esagera, e non sono pochi i momenti dove tutto esplode in un calderone stracolmo di ingredienti. “Magenta” spara un country allucinato come se Stevie Ray Vaughan avesse il parkinson assemblando note velocissime, riff di chitarra duri come acciaio e melodie al limite del futurismo che si ritrovano anche nella seguente “Yellow”, immerse in tonanti mitragliate sonore, bordate noise iper stordenti e anche squarci industrial tanto per non farsi mancare nulla, oltre che un lavoro di batteria imbizzarrito tra assoli e cambi di tempo assortiti. Da qui le cose iniziano a farsi leggermente più placide e meno confusionarie con “Imperfect Black” che presenta un’impostazione più quadrata e meno nervosa grazie anche al ritorno degli archi in estasi melodica. Ma è solo una sorta di intermezzo perché con “Absolute Black” si ritorna a grossi mix di generi da far quasi impallidire tra ottoni massicci, giri melodici folkeggianti, post-rock e visioni acide alla Vangelis. E se siete stremati il colpo di grazia lo dà “Translucense”, che richiama nuovamente alla base archi, cesellature melodiche di chitarra, tocchi leggeri di musica classica, progressive, distorsioni a catinelle e tonnellate di tecnica per poi chiudere definitivamente le ostilità con “Clarity” e quel math rock “semplice e diretto” che suona quasi come una bandiera bianca nei confronti di chi ascolta.
Arduo dare un voto e anche un’opinione su dischi così elaborati. Album esasperante ed interessante allo stesso tempo ma che forse vuole dimostrare troppo, davvero troppo.
(Autoproduzione, 2020)
1. Cyan
2. Magenta
3. Yellow
4. Imperfect Black
5. Absolute Black
6. Translucence
7. Clarity