Un treno pendolari nell’ora di punta, partito già con soli posti in piedi e che a ogni pressoché quotidiana fermata imbarca passeggeri che ne mettono a rischio la portata massima… Certo, rischiamo forse un’ingenerosa semplificazione e una conseguente, eccessiva generalizzazione, ma davvero il panorama stoner/doom della seconda decade del Terzo Millennio sembra presentare sintomi di preoccupante stanchezza, figli di un affollamento che ne sta prosciugando le fonti creative, insieme a un appiattimento sui modelli dell’epoca “eroica” del genere. Va detto, per contro, che sopravvivere a una selezione dai tratti ormai quasi darwiniani e riuscire a emergere in un habitat così poco ospitale diventa immediatamente una dimostrazione di forza e una garanzia di qualità e a questo ristretto gruppo di fortunati ci sentiamo senz’altro di iscrivere gli Shadow Limb.
La storia della band, in realtà, parte dalla militanza di tutti i suoi componenti nel progetto prog/stoner strumentale La Fin du Monde e, fino a questo momento, i segnali in arrivo dalle precedenti release con il nuovo monicker (l’EP del 2017, The King Is Dead e il più recente split con gli Squalus) non sembravano autorizzare particolari entusiasmi per il futuro del combo californiano, sicuramente in grado di galleggiare dignitosamente sotto costa (con citazione d’obbligo almeno per una traccia come “Soothsayer”, nell’EP) ma forse non particolarmente attrezzato per affrontare le sfide della grande navigazione d’altura con vista sulla memorabilità. Il quartetto di Paradise, invece, con questo Burn Scar smentisce tutte le previsioni e regala un lavoro di pregevole fattura e pari freschezza compositiva, avanzando una seria candidatura al ruolo di grande outsider, per una collocazione tutt’altro che anonima nelle classifiche di questo 2019. Intendiamoci, gli Shadow Limb non riscrivono la storia di un genere né lanciano una sfida ai suoi confini conosciuti, ma superano alla grande gli scogli insidiosi contro cui si sono infranti negli anni anche vascelli dalla ben più celebrata stazza. La chiave di volta per entrare in sintonia con la band, peraltro, è la disponibilità ad accettare il gioco di contaminazioni proposto dal quartetto praticamente per tutta la durata del viaggio, al punto che la stessa definizione “stoner/doom” risulta decisamente riduttiva, dovendo a tutti i costi procedere a una puntuale classificazione di ciò che si sprigiona dalle otto tracce del platter. Certo, è impossibile non cogliere in filigrana fin dal primo ascolto una batteria di richiami alla lezione Mastodon (e, in misura minore, ai Baroness degli esordi), ma a questi vanno immediatamente aggiunti sia gli echi delle evidenti basi prog su cui i Nostri si sono formati a inizio carriera sia, soprattutto, le corposissime iniezioni sludge che finiscono per dare un’impronta decisiva all’intero lavoro e che sono qui affidate a un comparto vocale protagonista di una prova monumentale (sorprendente, come destino di una band partita dalla strumentalità tout court…). Come se non bastasse, ad arricchire il quadro provvede anche un’accattivante attitudine melodica di fondo, che il quartetto sfodera con una naturalezza quasi disarmante sfidando con successo qualsiasi rischio di ruffianeria e, anzi, mettendo a segno addirittura qualche colpo kitsch d’autore, secondo un canovaccio che, da questa parte dell’Oceano Atlantico e in una prospettiva indubbiamente più metal/hard rock, è la bandiera distintiva e ha fatto la meritatissima fortuna degli svedesi Bombus. Il risultato, in ultima analisi, è un misurato equilibrio tra momenti dominati da pesantezza e acidità e passaggi segnati da un’orecchiabilità di fondo che, senza sconfinare mai nell’easy listening d’accatto, regala all’album una resa caleidoscopica in uno spettro che dai citati Mastodon porta ai Kylesa passando per le inevitabili (su queste rotte) suggestioni crowbariane. Non stupisce, allora, che gli Shadow Limb siano perfettamente in grado di maneggiare sia architetture articolate (le coppie di tracce a minutaggio sostenuto che aprono e chiudono il platter), sia gli episodi “a presa rapida” (l’intero corpo centrale del lavoro), sia singole incastonature all’interno dei brani. Se dunque, ad esempio, la conclusiva “Line of Descent” è un saggio di bravura capace di spaziare con pari esito da un avvio mollemente adagiato su un crinale psichedelico a un inserto classic doom di scuola Saint Vitus, prima di cannoneggiare la melodia con un appuntito strappo sludge, non è meno degna di lode una traccia come l’ottima “Cry Off”, poco più di quattro minuti più che sufficienti per sfoderare una semi-ballad dalle movenze ipnoticamente sinuose, mentre “Watered Down Alby” e “Cleanse of Ire” sorprendono per i cammei grunge che si affacciano ripetutamente a dare riflessi insoliti all’impianto stoner/doom.
Una giostra multicolore che gira vorticosamente sollevando la polvere accumulata dai troppi processi di lavorazione che stanno affaticando le officine doom, stoner e sludge, una salutare ventata d’aria fresca che soffia da più quadranti certificando che, in mani capaci, semplicità ed ispirazione non sono mai insanabilmente inconciliabili, Burn Scar è un album che può vantare oltretutto il dono mai troppo a buon mercato del coinvolgimento al primo ascolto. Se queste sono le premesse, aspettiamoci altri fuochi d’artificio, dalla carriera degli Shadow Limb.
(2019, Seeing Red Records)
1. Asger Arisen
2. Maelstroms Rebirth
3. Watered Down Alby
4. You Blew It
5. Cry Off
6. Cleanse of Ire
7. Rudiger, His Name Is Not Important
8. Line of Descent