Reinventing Darkness era già pronto sul finire dello scorso anno. Dopo un demo gli Skulld – combo che gravita attorno a Lombardia, Emilia-Romagna e, in qualche modo, Berlino – aveva messo sul piatto un antipastino per stimolare l’appetito e attrarre label. A quanto pare piacque a molti e attorno ad esso si è radunata una serie mastodontica di co-produttori italiani e stranieri (Italian Extreme Underground, Red Wine Rites, Violence in the Veins, Hecatombe Records, Strigon Records, Calimocho Diy, Bologna Punx, Zas Autoproduzioni, Drown Within Records, Bologna Hc, Blog Thrower, Fallen Crow). A febbraio era pronto pure il vinile, screenprinted e con tre diverse edizioni e, mentre il lockdown ne rendeva impossibile la promozione, in maniera assurda e rocambolesca, di sicuro involontariamente, gli Skulld si ritrovarono comunque sulla bocca di tutti allorché uno dei due chitarristi, durante quei giorni in cui la gente si affacciava ai balconi a cantare, pensò bene di dedicare “Raining Blood” alla signora vicina di casa. Ma questa è un’altra storia, che avrete già visto e sentito.
Chissà, invece, se avete già sentito il loro EP. Reinventing Darkness è composto da sei brani per una durata totale di una ventina di minuti. L’intento è quello di suonare death metal old school, non per gioco ma per amore, solo che il background e la storia dei membri della line-up sono quelli del punk e dell’hardcore. Ne viene fuori una roba particolare, uno stenchcore d’altri tempi in cui i riff incredibilmente riescono ad essere contemporaneamente death metal ed hardcore, in cui l’idea di death metal deve fare i conti con il crust, il thrash e appunto l’hardcore. Il tutto è tenuto insieme da una scrittura fine e ricca di influenze che crea un linguaggio autonomo e da vita a un lavoro vario ed originale. Ad arricchire la proposta, e per certi versi, spiazzare, c’è la voce di Pam che riesce ad essere estrema e primitiva, che arranca e soffre, senza seguire nessuno stereotipo, senza artifici tecnici e studiati, e che prova a ridefinire,appunto, i paradigmi con un’interpretazione coraggiosa. Il titolo, Redefining Darkness, si presta a più letture. Formalmente lo si può attribuire al lavoro di manipolazione di generi e grammatiche musicali diverse, e potremmo anche farcelo bastare. Tematicamente, invece la ridefinizione dell’oscurità rivendica un legame sempre più stringente tra esoterismo e femminismo. Tutti i testi sono impregnati di femminino, l’artwork lo è e l’esoterismo, o satanismo se vi piace di più, acquista vigore politico, staccandosi da anni di luoghi comuni e stereotipie e riacquistando un senso originario oppositivo.
Basterebbero solo questi due motivi per rendere Redefining Darkness un lavoro interessante e meritevole di attenzioni. Bisogna pure aggiungere, che poi è la cosa più importante, che è un lavoro bello da ascoltare, capace di coinvolgere tante realtà e, sicuramente uno dei sussulti più interessanti della produzione italiana underground di quest’anno. Correte ad ascoltarlo.
(Italian Extreme Underground, Red Wine Rites, Violence in the Veins, Hecatombe Records, Strigon Records, Calimocho Diy, Bologna Punx, Zas Autoproduzioni, Drown Within Records, Bologna Hc, Blog Thrower, Fallen Crow, 2020)
01. Red Moon
02. The Priestess
03. The Longest Hour
04. Beaivi
05. Cold Hands in Circle Reborn
06. Satanic Feminism