Certo, chi non è avvezzo ad ascoltare musica cantata in italiano o chi la snobba per partito preso, potrebbe avere grandi difficoltà iniziali nell’approcciarsi al primo lavoro dei cesenati Solaris, L’Orizzonte Degli Eventi. Ma è una difficoltà che dura giusto il tempo del primo ascolto, non tanto legata ai testi in sé, ma più probabilmente alla loro interpretazione che, vuoi per mancanza di modelli di riferimento e trend positivi, vuoi per mancanza di una scena musicale di lingua italiana corroborata, pare che si scrolli, giusto in calcio d’angolo, di qualche stereotipo legato al rock di matrice nazionale. Con ciò non sto parlando di pregi o difetti oggettivi, metto piuttosto le mani avanti per suggerire di provare a superare qualche pregiudizio, laddove ce ne fossero, o di mettere alla prova i propri gusti. Perché ne vale la pena.
I brani che compongono il lavoro sono cinque. “Erode” è una traccia interamente strumentale, fatta da stridenti riff polverosi e dolenti. “Luna” procede su note malinconiche e fluide di post-rock à la Slint, pregna di lirismo e con dei piccoli sussulti, sempre ben inquadrati e calibrati nell’economia del brano, quasi fosse una marea condotta avanti e indietro proprio da moti lunari. Una massa fluida che potrebbe ricordare proprio l’oceano senziente di Solaris, il capolavoro di “fanta-filosofia” di Stanislaw Lem, da cui la band prende il nome e, evidentemente, forza e ispirazione. Allo stesso modo, infatti, la scrittura evocativa ma ermetica dei testi agisce come il suddetto oceano, facendosi maieuta e sollecitando l’inconscio degli ascoltatori. La seconda traccia, “Nottetempo”, esordisce quasi fosse un crossover tra Shellac ed Helmet prima di riversarsi in un noise rock che chiama a mente i Marlene Kuntz più tetri e bui. Presente pure un assolo memore dei Soundgarden– il cui sound, come gli altri, farà capolino qua e là lungo tutto il disco con una disposizione disinvolta – che offre la spalla per un escalation finale placida, come conviene ai Solaris, che non la fanno praticamente mai fuori dal vaso. La lunga e intensa “Leviatano” è probabilmente il momento migliore, il più memorabile. Il merito è da attribuire anche ai riffoni post-metal della grassa chitarra di Andrea Fioravanti dei Postvorta che smuove la terra e molla sberle a più non posso sposandosi benissimo con un’interpretazione più robusta del brano e delle atmosfere d’altri tempi, dipinte con rara sensibilità. Il momento dei saluti è, infine, affidato alla voce recitata di “Specchio” e alla sua tensione altissima forme anguide, scosse telluriche e grossi boati.
Oggi è difficile trovare un lavoro come L’orizzonte degli Eventi. Perché non è quel genere di album da consumare distrattamente o da divorare con famelica rapidità ed obliare, poi, con la medesima fretta. Al contrario, è un lavoro che si insinua e fa breccia lentamente, ha bisogno di tempo e pazienza per arrivare a maturazione e svelarsi, e sul quale si sentirà il bisogno di ritornare periodicamente.
(Autoprodotto, 2017)
1. Luna
2. Nottetempo
3. Erode
4. Leviatano
5. Specchio