Un certo tipo di black metal atmosferico, progressivo e “di genere” riesce a non invecchiare mai e, invece, si ripropone sempre con freschezza, coerenza e tanta tanta qualità. Ne sono stati prova i recenti dischi di Wayfarer e Vemod e adesso ulteriore conferma arriva dai danesi Solbrud con il loro quarto disco (escludendo il maestoso live Levende I Brønshøj Vandtårn e i vari singoli ed EP). Questa nuova uscita andava giustamente considerata un po’ come la prova della verità, vuoi perché l’ultimo full-length, Vemod, era datato 2017 ma soprattutto perché IIII è l’ultimo disco nel quale compare il cantante e chitarrista Ole Pedersen Luk, che ha preferito concentrarsi sulla sua creatura Afsky, sostituito da David Hernan. Evidentemente la band di Copenhagen non ha paura delle sfide, visto che IIII è un doppio album dalla durata monster di oltre 90 minuti per il quale i membri hanno deciso di comporre la musica e scrivere i testi, ciascuno individualmente, per ognuna delle quattro facciate dell’edizione in vinile. È chiaro che i Solbrud non peccano di ambizione (qualcuno potrà dire persino superbia, ma trovo che che nell’asfittico panorama estremo attuale un po’ di questa non faccia male) e non nego che alla lettura del promo che illustrava questo peculiare processo compositivo ho un po’ storto la bocca, aspettandomi una serie di canzoni magari valide ma slegate tra loro. Invece vi posso anticipare che leggerete la recensione di un gran disco: lungo, complesso, articolato ma ottimo. Ovviamente un distratto ascolto non può permetterci di cogliere tutte le sfumature e tutti gli strati di cui si compongono le singole tracce ma che, alla prova dei fatti, rendono IIII un album assolutamente coerente, monumentale e memorabile che ci permette di fare un bellissimo percorso nella natura e nei quattro elementi.
Stilisticamente il disco non si differenzia troppo dalle uscite precedenti dei Nostri, impegnati nel creare un ponte che possa unire in qualche modo le sensibilità statunitensi (costa occidentale) a quelle più tipicamente scandinave. Se quindi amate e avete amato Agalloch, WITTR (quando erano ancora “nei loro cenci”, direbbe l’amico Federico Botti), primi Enslaved, Emperor, Ulver e Dissection qua troverete tanta ma tanta soddisfazione, Certo, non dovrà mancare un po’ di impegno per l’attento ascolto del doppio album ma vi assicuro che non vi sentirete in alcun modo sacrificati o annoiati. L’apertura del disco spetta all’elemento aria e l’accoppiata di canzoni composta da “Hvile” e “Tåge” grazie alle quali già si va a capire che i Solbrud faranno di tutto, appunto, per confermare che loro non temono di certo le sfide. Difatti, in apertura ci troviamo subito il pezzo più lungo, 17 minuti e passa aperti da una chitarra in clean che dopo circa due minuti lascia spazio a un muro sonoro epico, titanico e imponente di distorsioni e drammaticità. Con i tempi che si prendono i Nostri potete capire che il tutto viene dilatato e permette ai musicisti di sviluppare le loro idee sovrapponendo strati e fogli di note e accenti senza dover ricorrere a soluzioni precipitose. Quasi cinque minuti e la doppia cassa accompagna l’ingresso della voce e si fa notare il timbro che, al netto dell’effettistica, mi ha ricordato quella del buon Chuck Schuldiner. I riff sono semplici, aggressivi e anche negli stacchi che nel lungo brano ci fanno tirare il respiro sottende sempre un substrato di nostalgia e malinconia. La marziale “Tåge” chiude il dittico sull’elemento aria e conferma il gusto dei danesi per le semplici melodie che ben si adagiano sulle possenti basi ritmiche, fino a quando il blast beat del batterista Troels Hjorth Pedersen ci accompagna nell’ultimo minuto dove trovano spazio anche delle ficcanti ma non invadenti note di tastiera. La parte che si fa carico di narrare l’elemento acqua è forse quella più singolare del disco. “Når Solen Brydes” è infatti una suite composta da 4 canzoni che bene poteva andare a comporre un EP vista la durata complessiva di quasi ventiquattro minuti. Delicatissime note di chitarra quasi sussurrata che accentano le onde che si rompono sulla battigia introducono una lunga composizione di black progressivo che sembra riprendere le fila del discorso musicale di cui gli Agalloch sono stati supremi maestri. Comincia a prendere piede un’idea all’ascolto dei pezzi della suite: i singoli pezzi stanno bene in solitaria e ugualmente ben reggono la completezza di IIII. Si notano differenze ma si mantiene una tensione di fondo che vi anticipo arriverà fino all’outro “Postludium”. Da sottolineare anche il professionalissimo tocco del mitico Flemming Rasmussen al mastering che, seppur mantenendo dei suoni sporchi e ruvidi soprattutto delle chitarre, esalta ogni singolo strumento (da urlo il suono della cassa) e ogni cosa “in più” (suoni d’ambiente, tastiere, organi, voce femminile, svolazzi “floydiani”, qualche traccia più avanti un violoncello, etc.) è dosata in modo perfetto. Belle le atmosfere à la Alcest di “Når Solen Brydes Del III – For Evigt, For Altid, Forandret” e suggeriamo la visione del video in stop-motion che ha accompagnato l’uscita del pezzo. La suite si conclude con una doppia cassa in fade-in che ben si ricollega a quella che sarà la chiusura del disco. A “Ædelråd” spetta l’apertura della sezione dedicata all’elemento terra e trovo che questo sia il pezzo che meglio rappresenta l’essenza di IIII. A un distratto ascolto la canzone, che ripropone il muro distorto e maligno che aveva già marcato presenza in “Hvile”, sembra un collage nervoso e inquieto di riff e idee all’apparenza e spesso senza logico collegamento. Eppure. Eppure, come tutto il disco, i Solbrud salgono di nuovo in cattedra e, senza farsi ingolosire o prendere la mano (di nuovo un pezzo oltre i quindici minuti, peraltro), ci regalano una perla di elegante, decadente e malvagio black evoluto. Sembra di sentire l’odore di terriccio, di sottobosco seguendo il cadenzato andamento del pezzo che alterna sfuriate a pacate riflessioni acustiche e, di nuovo, quegli echi gilmouriani e åkerfeldtiani che ben si riconnettono ad altre impressioni marcate nei pezzi precedenti. Il pacato bending iniziale di “Sjæleskrig” ci illude e ben serve per fermarci un attimo nel nostro viaggio nel mondo naturale ma di nuovo, al terzo minuto, distorsione e screaming ci trasportano nelle viscere della Terra delle quali riconosciamo, comunque, un calore confortante anche grazie ai tempi meno frenetici che scandiscono l’andamento del pezzo. Non ci sbagliavamo riguardo al calore, era proprio quello provocato da un intenso fuoco che i Solbrud disegnano con l’ultima parte dell’album. “En Ild Som Tusind Sole” viene introdotta da una chitarra che, come in precedenza, ci fa ricordare la lezione dei Wayfarer per poi diventare un mid-tempo che sembra uscito dalle corde del Vikernes più ispirato anche se, come potete immaginare, la canzone non rimane un monolite ma anzi si dirama in varie e diverse direzioni. Non rimangono quindi che le ceneri, “Aske” appunto, con di nuovo doppia cassa alternata a una certa marzialità a marcare il cammino di questo pezzo che ci accompagna a chiudere questo nostro splendido pellegrinaggio. “Postludium” è, infine, un intelligentissimo outro che in poco più di quattro minuti ci riassume le esperienze vissute con l’ascolto di questa ottima opera. Chitarre pulite lasciate “sospese”, andamento prog rock e quella maledetta e bellissima doppia cassa che ci permette di continuare a camminare sulle suggestioni create da questi bravi musicisti.
Che dire, quindi? IIII è un’impressionante prova di maestria da parte di questi quattro ragazzi danesi attivi oramai da quindici anni. La recensione è lunga, me ne scuso, ma era necessario scrivere così tanto per meglio padroneggiare le emozioni provocate dall’ascolto di questa ambiziosa e titanica opera (da sottolineare che esce adesso dopo tre anni di gestazione) che, ripeto, non merita ascolti distratti bensì attenzione e dedizione, come è dovuto di fronte alla musica che più amiamo e più rispettiamo. Amore e rispetto, per la musica, per la natura, per gli elementi, che i Solbrud magistralmente raccontano e testimoniano con questo disco che diventa a tutti gli effetti la summa e il vertice della loro già importante carriera. Voto altissimo d’obbligo, pertanto, per questo IIII che si ritaglia un suo importante spazio nell’empireo del black metal intelligente, progressivo ed evoluto (e non solo quello). Spetta a voi, adesso, lasciarvi trasportare dagli innumerevoli richiami, tracce di un sentiero che sarebbe un peccato capitale non seguire.
(Vendetta Records, 2024)
1. Hvile
2. Tåge
3. Når Solen Brydes Del I – En Undring Vækkes I Mit Sind
4. Når Solen Brydes Del II – Mod Afgrundens Flammehav
5. Når Solen Brydes Del III – For Evigt, For Altid, Forandret
6. Når Solen Brydes Del IIII – En Ny Tid For Mig Står
7. Ædelråd
8. Sjæleskrig
9. En Ild Som Tusind Sole
10. Aske
11. Postludium