In un periodo in cui non è raro che musicisti rock/metal si dedichino a progetti paralleli vicini al mondo easy-listening, non c’è da stupirsi se accade anche che i ruoli si invertano. È il caso dei SOON, band americana fondata da Stuart McLamb e Thomas Simpson – rispettivamente chitarra/voce e batteria – già nei The Love Language, band indie pop che (ci dicono) riscuote un discreto successo oltreoceano. Malgrado i Nostri ci tengano a mettere in chiaro che “SOON ain’t doom”, è proprio alla musica del destino che questo debut album inerisce, anche se in maniera personale e con non poche influenze mutuate dalla band d’origine.
Il quartetto infatti non si limita a riciclare i soliti schemi, dal momento che suona – e pensa – il proprio doom/stoner melodico da un punto di vista fortemente indie, ai limiti del flower power. Questo è evidente in particolar modo in “Datura Stramonium”, il brano più lungo dell’album, che mostra la vena più apertamente psichedelica della band. Ma a tradire la provenienza artistica dei musicisti è soprattutto la vocalità di McLamb, che nei ritornelli di “We Are On Your Side” e “Burning Wood” crea un piacevole contrasto con l’incedere lento e massiccio della sezione ritmica. Non c’è spazio per molto altro – Vol.1 dura all’incirca trentacinque minuti di cui poco meno della metà rappresentati dalle ultime due tracce – se si esclude la ballad acustica “Mauveine” accostabile a certo cantautorato americano, un Mark Lanegan in salsa bucolica, e il drone della conclusiva “Rise”.
Posto che i SOON non inventano nulla di nuovo, Vol.1 si presenta sin dal primo ascolto come un album piacevole, che, senza particolari virtuosismi e, forse, senza particolari pretese, riesce a colpire per la bontà del songwriting e per un’inclinazione all’orecchiabilità che rende i brani di facile presa. La breve durata del lavoro è senz’altro un punto a favore, tuttavia in un paio di momenti sembra che i brani abbiano ancora bisogno di svilupparsi. Prendiamolo come un artificio atto a formare dell’interesse per un Vol.2, che potrebbe essere la vera cartina al tornasole per la band americana. Per adesso ci limitiamo a definirlo un debutto interessante, consigliato ai fan meno puristi del genere.
(Temple Of Torturous, 2016)
01. We Are On You Side
02. Burning Wood
03. See You Soon
04. Gold Soul
05. Glass Hours
06. Mauveine
07. Datura Stramonium
08. Rise
6.5