Nel momento in cui si scrive una recensione bisogna, prima di tutto, essere sinceri con sé stessi, altrimenti risulta impossibile essere sinceri con il pubblico. Spesso bisognerebbe mettere anche da parte l’orgoglio per riconoscere, con socratica ammissione, di sapere di non sapere. Facile farlo, se ti chiami Socrate. Un po’ meno se sei una persona qualunque nel 2024, con a disposizione un’infinità di strumenti per la condivisione di notizie e informazioni a supporto di una tua grande passione. Chi scrive deve infatti ammettere con grande rammarico che, fino a qualche tempo fa, non aveva idea di chi fosse Chrysa Tsaltampasi, la mente dietro il progetto Spineless. Il disappunto nell’evidenziare tale mancanza nel bagaglio della cultura musicale deriva dal fatto che la Tsaltampasi è un assoluto peso massimo della scena musicale contemporanea, nonché insegnante di canto di fama internazionale, che vanta docenze presso la HKU University for the Arts e presso il Conservatorio di Utrecht, oltre a svariate presenze in meeting e convegni di rilevanza planetaria e ripetute collaborazioni con il mondo dei serial televisivi (l’apprezzata serie 1899 e le hollywoodiane The Beauty and the Beast, Star Crossed, The Secret Circle, etc). Come il Socrate che ci guarda e ci giudica per la nostra presunzione, anche con Chrysa Tsaltampasi siamo in Grecia, precisamente ad Atene, culla della cultura occidentale e, come anticipato, del progetto Spineless, che vede la citata cantante e polistrumentista affiancata da ulteriori personaggi di spicco della scena musicale greca. Difficile identificare in maniera univoca in genere di riferimento e, se dovessimo elencarne gli elementi cardine, potremmo pensare a un post-metal di ispirazione Neurosis con più di un richiamo a gruppi come Mono e Ulver del periodo elettronico e più sperimentale, aggiungendo anche un ulteriore elemento heavy industrial di derivazione Godflesh. Tutto questo, però, è comunque limitante per dare una concreta idea di cosa sia la musica di Spineless, che unisce generi, li amalgama, li decostruisce e prova, dalla materia risultante, a creare nuove soluzioni.
Dysphonia, secondo album di Spineless dopo il già ottimo esordio dal titolo Speaking Of Chaos And Relative Peace, si inserisce nel solco di quest’ultimo, proseguendo e ampliando la ricerca musicale che lo pervade e che, possiamo a questo punto dirlo, caratterizza questo periodo della carriera della Tsaltampasi stessa. Il disco risulta quasi diviso in due sezioni, con una prima parte composta dai brani “Justice”, Disease” e “Ode To My Procrastination” che attingono in maniera evidente dal post-metal e dallo sludge, evidenziando nella terza traccia anche un leitmotiv di stampo quasi Sasquatch/Astroqueen. Ogni brano del trittico iniziale alterna con disinvoltura linee vocali pulite da artista che meritatamente collabora con primari istituti di canto a livello internazionale con growl carichi di rabbia che ricordano da vicino alcuni passaggi della Lingua Ignota del meraviglioso All Bitches Die. La seconda parte del disco è invece caratterizzata da una netta prevalenza dell’elemento elettronico e dal quasi totale abbandono delle harsh vocals, che tornano con forza solo nella penultima traccia del disco, “NOZZ”, che rappresenta il brano più particolare del lotto e propone una ritmica da drum machine impazzita di stampo rave music/jungle su cui si innesta uno scream abrasivo. Qualcosa che di sicuro non si sente spesso. Come detto, i rimanenti pezzi viaggiano su panorami più tranquilli, eterei, a tratti malinconici, funzionali alla messa in risalto di un repertorio canoro vasto, variegato e di una qualità assoluta. Data la figura femminile che guida il progetto, i paragoni più spontanei sono quelli che coinvolgono altrettante voci meravigliose e poliedriche quali Chelsea Wolfe, la Myrkur di Folkesange, Emma Ruth Rundle o Rachel Davies degli Esben and the Witch.
Ci sono dischi il cui ascolto rappresenta davvero un privilegio, perché sono il frutto di un lavoro di ricerca a 360 gradi nel mondo musicale contemporaneo e spaziano tra generi anche culturalmente molto distanti, creando un amalgama che sulla carta potrebbe destare più di una perplessità eppure, alla prova del nove, perfettamente armoniosa. Dysphonia è esattamente questo: un insieme armonico di generi – sia estremi che non -, di stili vocali, di idee e di tentativi ben riusciti di trovare la quadra tra decine di elementi diversi. Un plauso a Chrysa Tsaltampasi, che ha saputo creare tutto ciò e che critichiamo unicamente per non averci regalato più di 35 minuti di musica iconica perché, quando il piatto è così ricco, anche l’appetto aumenta.
(Submersion Records, 2024)
1. Justice
2. Disease
3. Ode To My Procrastination
4. Me
5. You
6. To the Core
7. Where am I?
8. Your Drama
9. NOZZ
10. Never Ending Story