Gli Spiritual Beggars di Michael Amott tornano sotto i riflettori con un nuovo album, Sunrise to Sundown, per dimostrare che, se si possiedono gli attributi, i risultati si ottengono anche quando si propone una formula per nulla innovativa.
Dall’uscita di Janne Christoffersson (Grand Magus), sono passati dieci anni e due album: nel frattempo è entrato nell’allegra brigata come nuovo cantante Apollo Papathanasio (citiamo i Firewind tra i tanti gruppi di cui ha fatto parte) il quale fin dalla prima traccia, ossia la titletrack, dimostra che si è integrato perfettamente, distinguendosi per il suo timbro caldo ed epico. Il pezzo parte con un acceso e guizzante riff che si abbraccia con una potente sezione ritmica per poi far esplodere un ritornello che profuma di hard-rock, convincente e melodico al punto giusto. Le tastiere, ad opera di un’altra vecchia volpe del panorama musicale, ossia Per Wiberg (ex Opeth), donano il giusto retrogusto seventies ai brani. Lo stesso tastierista è presente in maniera efficace anche nel secondo brano, “Diamond Under Pressure”, dove, assieme all’ugola del cantante greco e all’eccellente e versatile lavoro del biondo svedese alla sei corde, crea un sound alla Deep Purple che non sfigurerebbe per nulla nella discografia dei Maestri. Con “What doesn’t Kill You” le sonorità si fanno più cupe ed entra in gioco un cattivissimo giro di chitarra, sorretto da un notevole e scatenato lavoro tastieristico e da un Apollo intento a sfornare melodia a profusione. Il disco si snoda poi su diverse direzioni, sempre ben bilanciate. Basti pensare alla tripletta rockeggiante “Hard Road” / “Still Hunter” / “You have been Fooled”, pezzi energici e trascinanti, dal sound piacevole e pregni di assoli al fulmicotone. Da non dimenticare “Dark Child Light”: anche in questo caso si nota una grande cura per i ritornelli, sempre combinati al meglio con la potenza strumentale. C’è spazio anche per il southern rock, come dimostrato dalla finale “Southern Star”, che trasuda rock sudista da ogni poro. Ma non è ancora finita, perché nel percorso per arrivare in fondo si incappa in atmosfere epiche stile Rainbow dell’era DIO (“No Man’s Land”) oppure in territori stoner: “Lonley Freedom”, di chiara derivazione Kyuss, si distingue per un ottimo intermezzo fumoso e allucinato come nella migliore tradizione del genere.
Un grande ritorno discografico per la band di Amott, che si conferma un compositore talentuoso e di notevole spessore artistico, ben supportato da eccellenti musicisti. Sunrise To Sundown non è un capolavoro ma un più che degno album da ascoltare e riascoltare, meritevole di far parte di una notevole discografia.
(Inside Out, 2016)
1. Sunrise to Sundown
2. Diamond Under Pressure
3. What Doesn’t Kill You
4. Hard Road
5. Still Hunter
6. No Man’s Land
7. I Turn To Stone
8. Dark Light Child
9. Lonely Freedom
10. You’ve Been Fooled
11. Souther Star