Oxbow e Sumac, un’accoppiata che non poteva non far gola a molti. I primi sono da poco tornati alla ribalta con Thin Black Duke, un altro capolavoro a dieci anni di distanza da The Narcotic Story; i Sumac sono la nuova (l’ennesima) manifestazione sonora di Aaron Turner, che, dopo un’iniziale fase di rodaggio, hanno convinto pubblico e critica con What One Becomes. Non ci si stupisce dunque che al Bronson si presenti un buon numero di spettatori, equamente divisi tra curiosi, adoratori dell’ex-mastermind degli Isis e una “vecchia guardia” particolarmente nutrita che ha pure “costretto” al bis la band capitanata da Eugene Robinson. Il contrasto, in fin dei conti, ha funzionato, anche se bisogna notare come il monolitico sound dei Sumac risulti particolarmente ostico da digerire dopo un’esibizione degli Oxbow, che dopo le evoluzioni degli ultimi due dischi si esprimono ormai su livelli di eleganza sopraffina.
Live report a cura di Diego Ruggeri & Enrico Zampieri
SUMAC + OXBOW
Bronson, Madonna dell’Albero (RA)
02 / 05 / 2017
OXBOW
Gli Oxbow salgono sul palco in sordina: Eugene, come al solito, è vestito di tutto punto, ed ostenta una raffinata pacatezza nel proporre le tracce del nuovo lavoro. L’impatto di queste ultime, rispetto al disco, è decisamente più potente. Per quanto risultino molto più “asciutti”, i brani estratti da Thin Black Duke mantengono però il giusto gusto melodico; va tuttavia notato come i brani di The Narcotic Story risultino più “a fuoco”, segno che per apprezzare pienamente i nuovi pezzi (ancor più elaborati dal punto di vista degli arrangiamenti, questo va detto) ci sarà bisogno ancora di un po’ di rodaggio. “Letter of Note” è probabilmente il ponte perfetto tra le bordate di follia dei lavori passati e il nuovo approccio. Man mano che il concerto prosegue, tra una elegantissima “Cold & Well-Lit Place” e un’adrenalinica “A Gentleman’s Gentleman”, la situazione si “scalda” e l’istrionico frontman inizia uno scabroso striptease che lo porta a mostrare le sue nudità. Il pubblico, che probabilmente in gran parte conosce il “rito”, ovviamente apprezza. Appare evidente e innegabile come il Nostro sappia gestire alla perfezione le parti più melodiche ed intimiste di Thin Black Duke, un disco che come forse mai prima ne mette in risalto le doti vocali. La resa generale dell’acustica è su buoni livelli: la sezione ritmica è ben in evidenza con i suoi ritmi blueseggianti. Pagano il dazio di minore incisività la chitarra e gli inserti di piano, tristemente poco udibili. La performance rimane comunque su ottimi livelli e tutto scorre alla grande. La furia dei live del decennio scorso è stata ormai accantonata e rimpiazzata da un’impareggiabile classe, inevitabilmente legata all’esperienza accumulata negli anni da questi quattro musicisti, ancora oggi nel pieno della propria maturità artistica.
SUMAC
Sono da poco le 23 ed è il momento dei Sumac. L’arrivo sul palco del leonino Aaron Turner è accompagnato da forti applausi e dopo un momento di silenzio si parte con “Rigid Man”, seconda traccia di What One Becomes, eseguita dal trio con tutta la potenza del caso: la voce tuonante del frontman si erge sul muro sonoro formato da chitarra e basso. Le parti più atmosferiche vengono eseguite con feedback di primitiva ferocia. Risulta chiaro che i seppur rari momenti di quiete presenti nel progetto Sumac questa sera saranno oltremodo minacciosi. Finito il primo brano Aaron stacca il jack dalla chitarra perforando i timpani degli ascoltatori. È la volta di “Blackout”, brano più lungo e articolato scritto dai Nostri. Il lavoro dietro le pelli di Nick Yacyshyn è davvero encomiabile: la naturalezza con cui passa da potenza ferina a momenti più atmosferici è disarmante. Più sottotono l’unico brano del disco d’esordio The Deal. “Thorn in the Lion’s Paw”, che nella veste in studio comprendeva momenti ambient creati dal piano di Faith Coloccia, ora viene chiuso con sfuriate harsh noise ad opera di Turner, invero ad un passo dall’onanismo musicale. A far dimenticare il fastidio ci pensa la chiusura di “Image of Control”: Joe Preston in questo brano riesce a far emergere le sue doti di bassista, precedentemente accantonate per svolgere il semplice compitino di riempimento delle basse frequenze.
Quella dei Sumac è stata, in sintesi, una buona performance, che ha sicuramente tolto dubbi sulla buona resa live del gruppo. La cattiveria è stata servita. Unica riserva per le parti atmosferiche, che faticano a decollare.