Nel pieno dell’inverno ecco arrivare il nuovo album di The Body. Un modo decisamente inconsueto ma non per questo inefficace per provare a scaldarsi nel periodo più freddo dell’anno. Ognuno ha le proprie fisse, è chiaro, c’è chi preferisce sistemarsi davanti al camino con rischio di farsi bruciare i piedi come Pinocchio e chi non vede l’ora di trovare “quel disco” che possa scaldargli il cuore. Io sono decisamente parte di questa seconda parrocchia. Non c’è niente di meglio che scoprire un disco che non ti aspetti e dedicargli tutte le attenzioni che merita. Alla faccia del Generale Inverno. I’ve Seen All I Need To See (Thrill Jockey Records) è l’ottavo capitolo sulla lunga distanza per il duo del Rhode Island e rappresenta un’inversione di tendenza rispetto al precedente I Have Fought Against It, But I Can’t Any Longer del 2018. Tornano infatti a farla da padrone le partiture suonate, con il risultato che siamo alle prese con un manifesto sonoro decisamente più vicino a ciò che rappresentano in sede live i due statunitensi. Non può quindi che farla da padrone l’intensità, con tutto ciò che ne consegue in termini di oppressione e pesantezza. Nonostante siano passati vent’anni dal loro debutto, i due mostrano ancora voglia di sperimentare, di perdersi in sonorità che possano ridefinire e ricontestualizzare la loro proposta senza riproporre soluzioni già viste e già sentite.
La traccia che apre l’album, “A Lament”, è il modo migliore per far capire sin da subito che siamo alle prese con un disco in cui claustrofobia, distorsioni e dissonanze si alternano con un unico obiettivo finale. Quello di annichilire chiunque si cimenti con l’ascolto. I’ve Seen All I Need To See ha una sua riconoscibilissima allucinante * che porta a pensare che gli spazi intorno a noi si stiano chiudendo costringendoci ad una resa tanto inevitabile quanto soffocante. Una lancinante e sistematica aggressione che li spinge a dare sempre quel qualcosa in più rispetto a ciò che ci si potrebbe aspettare, a spingersi oltre il confine del lecito nonché dell’ascoltabile, laddove, come ricordano loro stessi “il rumore diventa un’espressione di libertà, una liberazione del (e dal) suono.” Una liberazione perché no, anche estetica, che possa portare verso una nuova direzione, tanto ostica quanto affascinante. Una liberazione che non ha altra strada che l’elaborazione del suono intesa come mutazione della materia. Non ultima, una liberazione dalla strumentazione elettronica del più recente passato da inquadrare come una sorta di emancipazione dal tempo contemporaneo. L’unico legame che resta con questo passato è la presenza costante come ospiti di Chrissy Wolpert (voce/piano) e di Ben Eberle (voce) anche se con ruoli decisamente ridimensionati rispetto a I Have Fought Against It, But I Can’t Any Longer.
I The Body dimostrano ancora una volta di possedere uno spessore artistico che cerca di sposare l’ardore per i suoni dilanianti che ti entrano dentro trapanandoti il cervello. Come se la musica si lasciasse contaminare dalla cacofonia permettendole di modificare il proprio DNA e ridefinendone le caratteristiche genetiche. Man mano che si prosegue nell’ascolto aumenta la sensazione di trovarsi di fronte ad un album tribale, per certi versi primitivo, ma al tempo stesso fortemente funereo e distruttivo, un album selvaggio e martellante in cui le grida sepolcrali si sposano alla perfezione con la distorsione soffocante di una chitarra che spesso non pare nemmeno più suonare ed essere vista come tale. C’è molto poco di umano in questo disco, nonostante sia come detto, molto più “suonato” dei precedenti, ma c’è soprattutto la consapevolezza di trovarsi tra le mani un disco assolutamente omogeneo nella sua molteplicità di ricerca sonora. In sostanza I’ve Seen All I Need To See è un ottimo esempio di come si possa unire marzialità ossessiva e minimalismo cacofonico. Per un risultato finale che non può che essere quello di una devastazione bellica, dove restano solo macere e speranza di ricostruire, detriti informi su cui sedersi a capo chino e chiedersi come sia possibile che sia accaduto e come fare per andare avanti e ricostruire tutto quanto. Giocando con il titolo potremmo dire, a fine ascolto, in attesa di ripartire da capo, che “abbiamo visto tutto quello che c’è da vedere” ma soprattutto “abbiamo ascoltato tutto quello che c’è da ascoltare”, dal momento che è inevitabile passare ad un secondo ed un terzo ascolto per il piacere di tornare ad essere seppelliti dagli attacchi acufenici dei The Body.
(Thrill Jockey Records, 2021)
1. A Lament
2. Tied up and Locked in
3. Eschatological Imperative
4. A pain of Knowing
5. The City is Shelled
6. They are coming
7. The Handle/The Blade
8. Path of Failure