Sono un amante degli scritti del Solitario di Providence, ho ascoltato ore e ore di materiale ispirato alle sue opere o che lo cita semplicemente. The Great Old Ones, Ultar, Crawling Chaos, Estuarine… in tanti hanno reso omaggio al maestro del cosmicismo, ma ora, alla luce di questo oscuro, triste, pacato e tragico In Memoriam ad opera dell’ennesimo progetto di Jason Köhnen (Mansur, The Kilimanjaro Darkjazz Ensemble, The Mount Fuji Doomjazz Corporation), penso che nessuno prima d’ora abbia saputo cogliere così bene l’atmosfera di quelle storie pregne di delirio e terrificante insensatezza.
The Lovecraft Sextet non è un progetto death metal, non è black metal o doom o qualsivoglia sfumatura metal. Non è metal. Quello che sentiamo è una sorta di darkjazz che si fonde con la musica lirica, con i Canti Gregoriani, inserendo una forte componente dal chiaro vibe cinematografico e di quando in quando strizza l’occhio anche alla darkwave degli anni 80. In Memoriam è un disco semplicemente oppressivo e claustrofobico in cui tutto è squisitamente dilatato. L’atmosfera da film noir è onnipresente ed estremamente evocativa. Non è difficile durante l’ascolto di un brano come “De Mysteriis (Musicorum)” immaginare un losco figuro in un buio vicolo illuminato solo da un lampione fioco e due orrendi tentacoli che escono dalle maniche della giacca indossata da quell’individuo dal volto nascosto sotto la tesa del suo Homburg. Ora, questo disco ha una particolarità: è composto da due brani a loro volta divisi in tre parti: la parte vocale, quella musicale e quella ambientale, un modo sicuramente molto particolare di organizzare un disco, fa capire quanto sia importante l’ordine durante l’esperienza d’ascolto. Diventa palese che Köhnen abbia concepito In Memoriam pensando non a un disco che metti per sentire un brano e via, ma ad un’opera per cui devi ritagliarti del tempo e godertela, assaporarla, farla tua, rifugiartici dentro, diventare parte di essa. Non sono uno di quelli a cui piace raccontarla sempre più grossa degli altri, non mi piace attirare l’attenzione con asserzioni sensazionalistiche, ma In Memoriam una parola me l’ha tirata fuori di bocca: capolavoro! Eh sì, perché si sta facendo sempre più difficile trovare qualcosa che sia veramente evocativo, coinvolgente, emozionante e commovente. E non mi riferisco solo a come contrabbasso e pianoforte si fondano generando un tappeto sonoro abissale, non mi riferisco a come gli archi diventino le voci di tanti angeli decaduti e dispersi nel vuoto cosmico, mi riferisco a come questa musica, senza affaticarsi e agitarsi inutilmente metta a disagio e scomodi l’ascoltatore con sonorità sinuose, sensuali e deprimenti. Questo piccolo gioiello nero è senza timore di sovrastima un vero e proprio nepente per lo spirito in un periodo storico in cui escono tante cose, ma poche escono.
Ovviamente si tratta di un lavoro estremamente direzionato a un determinato pubblico, non è roba da ascoltare così tanto per, ma nemmeno qualcosa di così astratto. Voglio essere chiaro, per apprezzare questo disco, o si ha una mentalità molto aperta e non si disdegnano sonorità soffocanti oppure si è amanti di gente geniale come Sopor Aeternus & The Ensemble of Shadows, Graham Plowman, Adrian Von Ziegler, Les Chants Du Hasard e persino Diamanda Galàs e il Vangelis più urbano che sinfonico. Personalmente, a questa opera che risveglia l’immagine di un marasma inquieto nelle viscere di un antico essere che dimora al centro di un universo strano e delirante darei un voto indecentemente alto, ma mi limiterò a qualcosa che non provochi dissenso violento o irragionevole dubbio.
(Denovali, 2021)
1. Funebre Macabre [Vocalis]
2. Funebre Macabre [Musicorum]
3. Funebre Macabre [Ambientum]
4. De Mysteriis [Vocalis]
5. De Mysteriis [Musicorum]
6. De Mysteriis [Ambientum]