Prima di parlare dell’album che andiamo a recensire è doveroso fare un cappello introduttivo. Il genere post-rock al momento della sua formazione era diverso dalla concezione attuale: oggi le connotazioni più comuni sono legate al suono limpido della chitarra e a crescendo struggenti che per gli ascoltatori più scafati paiono spesso triti e ritriti. Più di venti anni fa uscirono dischi di band come Tortoise e Godspeed You! Black Emperor che tratteggiarono linee più ampie, colme di sperimentazione e apertura mentale volte a non fossilizzarsi mai.
Eccoci quindi ai The Pirate Ship Quintet, collettivo di Bristol con all’attivo solo un EP e un album spalmati in oltre dodici anni. I primi due lavori, che vi consiglio di reperire, erano sporcati di scream in alcuni frangenti che li faceva avvinare allo screamo evoluto dei fuoriclasse Suffocate For Fuck Sake. Totalmente abbandonato questo approccio viscerale, con Emitter il combo si spinge oltre.
Registrato e mixato dalla stessa band, desiderosa di avere il totale controllo della produzione, Emitter esplora territori nuovi ed entusiasmanti. I brani scorrono con una continuità sconcertante. Prendete gli oltre sedici minuti di “Companion “, una suite che parte in punta di piedi con la forza espressiva del violoncello suonato magistralmente da Sandy Bartai e le armonizzazioni vocali fuori dal tempo della musicista Emily Hall (vincitrice tra l’altro di un award) che portano ad una progressione ritmica che sfocia in un muro di chitarre sature di feedback e ritmiche serratissime. Un brano che vale una carriera, e che non è altro che l’inizio di un lungo viaggio. “Emitter” si avventura ancora più in profondità con l’apporto del sassofonista Andrew Hayes che dona ulteriore colore ai passaggi cinematografici del brano. La maestria della band risiede nel mantenere comunque un’attitudine heavy che come un’ombra si cala nei brani: riff costruiti splendidamente emergono con potenza come squarci nella carne. Ogni musicista sa che c’è un momento per tutto. Come in un’orchestra nessuno vuole prevalere sul prossimo, aspettando il momento di emergere spontaneamente nel flusso sonoro. Ci sono momenti rarefatti di una bellezza che ha dell’ultraterreno, come in “Fifth” che si collega alla successiva “Wreath”, in cui violoncello e chitarre armonizzano melodie struggenti. “Symmetry Is Dead” è il brano più nervoso con bassi saturi e batteria secca e pulsante.
Il mastering a cura di James Plotkin è l’ulteriore nota di cura che porta Emitter ad un passo dalla perfezione che, come ben sappiamo, non è umana. Con il loro terzo disco gli inglesi finiscono direttamente nell’olimpo dei giganti innovatori del genere. La band osa e non teme, come i grandi citati a inizio recensione. Emitter è un capolavoro che verrà ricordato come pietra miliare negli anni a venire.
(Denovali Records, 2019)
1. First
2. Companion
3. Third
4. Emitter
5. Fifth
6. Wreath
7. Seventh
8. Symmetry Is Dead
9. Ninth