Omonimo album di debutto per il quartetto norvegese, pressoché sconosciuto alle nostre latitudini, che vede nelle sue fila alla batteria Ingvald André Vassbø (Kanaan, Motorpsycho, Full Earth). Non facciamoci però trarre in inganno dal suo curriculum, questo con The Verge è un passo avanti per il buon Ingvald. L’album infatti gli permette di spostarsi all’interno di quel filone, per molti ostico, che nasce e sviluppa intorno al free jazz, e che guarda all’avanguardia in ogni sua declinazione possibile. Il tutto sapientemente adagiato su un terreno affine alle istrioniche progressioni jazz rock degli anni Settanta, con particolare riguardo alle espressioni più oltranziste dei nostrani Perigeo, autentici maestri in materia. Un album con cui andranno a nozze tutti coloro che sposano l’isterismo dell’improvvisazione tout court.
Attivi dal 2019 The Verge arrivano al loro primo album grazie alla norvegese Is it Jazz? Records, sottoetichetta dedita alla ricerca sperimentale della Karisma Records di Oslo. La scelta del nome fa immediatamente capire dove i ragazzi norvegesi cerchino di andare. Ovvero ovunque vogliano, indipendentemente dal fatto che i dischi che propongono siano appunto jazz oppure no. Etichetta che abbiamo già avuto modo di presentarvi in passato con la recensione dell’interessante Racoons di Erland Dahlen.
Qui siamo letteralmente su un altro pianeta. L’assalto sonoro dei The Verge è quanto di meglio abbiamo ascoltato in ambito jazzistico sperimentale ultimamente. La forza del disco è quella di distaccarsi dai cliché del genere, forse un po’ troppo autoreferenziale, per andare a sondare profondità recondite cariche di un pathos travolgente, sia che si tratti delle parti più accelerate, e vicine ai deliri free, che di quelle calde e rilassate dal tocco intimista. Pur essendo sette tracce tra loro in parte slegate, che percorrono binari differenti, riescono comunque tutte a condurre alla medesima destinazione, quella di un album interessantissimo, perfettamente a fuoco in ogni suo momento, in ogni sua componente, segno di una grande maturità sia stilistica che compositiva. Non c’è un passaggio che sia fuori posto, fuori contesto, superfluo. Un album per certi versi estremo, che fa molto più male ed ha molta più dignità di un sacco di album black metal proveniente dalle stesse lande geografiche. Un album che sancisce ancora una volta come la libertà sia una delle cose più belle che esistano, in qualunque campo la si voglia applicare, musica compresa. Un album sfaccettato ma soprattutto sfacciato che non smetto di ascoltare da diversi giorni, a volume ovviamente sostenutissimo.
(Is it Jazz? Records, 2024)
1. Nessesse
2. Hyperreality
3. Snake
4. Gratitude
5. Emils låt / Postludium
6. The Blast Supper
7. Patterns for Meditation