Parola d’ordine: battere il ferro finché è caldo. Nel contesto della heavy music contemporanea il ferro è sicuramente quello del post black metal, ibrido “denaturato” che tanto fa discutere gli addetti ai lavori. I fabbri, in questo caso, sono i tedeschi Thränenkind. In realtà la formazione del combo di Monaco, tra le cui fila militano membri e session men degli Heretoir, risale al 2007, periodo in cui il genere si trovava ancora in uno stato embrionale. Non risulta comunque difficile porre questo King Apathy nella scia post: eloquente in questo senso il prossimo tour estivo di supporto ai Ghost Bath, con cui evidentemente si cerca di condividere il pubblico di riferimento. La premessa è, però, meno interessante delle reali possibilità in mano al quintetto tedesco.
Ci sono infatti due elementi, tra loro connessi, che differenziano sottilmente i Thränenkind dalla maggior parte delle band della scena di cui fanno parte: le idee di anarchismo, veganesimo e critica alla società industrializzata di cui si fanno portatori e, sul piano pratico, le blande ma azzeccate influenze hardcore/crust punk. Se la prima caratteristica è un vestito che la band si cuce addosso, ma che nei fatti poco aggiunge alla proposta, la seconda risulta fondamentale ai fini di ritagliarsi una fetta di originalità, che non è cosa da poco. Sono proprio le cavalcate e gli skank beat di episodi come “Urban Giants” a rendere i Nostri più che semplici epigoni degli Harakiri For The Sky. Tuttavia anche alcuni momenti meno tesi riescono a colpire, grazie a buone idee chitarristiche (“Ghosts”) e parti vocali imponenti e sentite (“Homeruiner”) che spiccano rispetto ad altri frammenti meno ispirati. Vero tallone d’Achille di King Apathy risulta però essere l’iper-produzione, arma a doppio taglio, che gioca un punto a sfavore nei confronti dell’album. Se da un lato rende vocals e chitarre avvolgenti e definite, dall’altro riduce la portata della sezione ritmica: basso non pervenuto e batteria artificiale, fredda, certamente fuori luogo.
Chi segue da tempo i Thränenkind avrà notato l’evidente salto di qualità compiuto dai tempi di The Elk (2013), fatto che già di per sé rappresenta un successo. I Nostri hanno confezionato un album più che intrigante, che nonostante alcuni passi falsi potrà essere pane per i denti degli appassionati di certe sonorità. Ci sono, senza dubbio, buone possibilità di fare il colpo già con la prossima release: basterebbe calcare la mano sugli elementi di personalità e di eterogeneità che la band dimostra di possedere, sebbene ancora in potenza. Battere il ferro finché è caldo, insomma, ma allo stesso tempo forgiando qualcosa di inequivocabilmente unico.
(Lifeforce Records, 2016)
1. Desperation
2. King Apathy
3. Ghosts
4. Urban Giants
5. The Blood On Our Hands
6. Drifter
7. What We Believe In
8. Smokestacks And Concrete Walls
9. Vanishing Youth
10. Homeruiner