Gli Overo sono una band nata nel 2019 quasi per salvare l’emo. Molti diranno adesso che magari non c’era tutto questo bisogno di mantenere in vita questo genere, eppure si tratta di un movimento che avuto molte cose da dire, e che ha saputo esprimersi con un linguaggio vero, crudo e sofferto magari, ma emozionante (appunto) e pregno di sentimento. Parliamo di loro perché il presente album, Tobiano, dell’omonimo gruppo, altro non è che l’altra faccia della medaglia della band texana: sono sempre loro, semplicemente hanno deciso di fornire un’altra versione della loro poetica.
Il loro Bandcamp ci viene in aiuto: “The name Tobiano references that the project is a counterpart to Overo. Both words are terms for spotted horses. Overo is the term for a dark horse with white patches, whereas tobiano is the term for a white horse with dark patches. Viewed alone, the two seem to be opposites. But if considered against a broader spectrum – of colors, or in this case, of sounds – it’s clear that they are two halves of a whole.” Tradotto in musica i sei pezzi che compongono questo lavoro mettono in mostra l’aspetto più dolce e delicato dei Nostri, indubbiamente ben presente nelle loro composizioni con la band “madre” ma privato di tutta l’aggressività emocore che portava con sé. Abbiamo tra le mani delle melodie rarefatte, sognanti e cullanti, ideale colonna sonora di giornate soleggiate tardo invernali, quando la primavera è alle porte e si può finalmente indugiare un po’ al sole, che scalda nonostante il freddo sia ancora nell’aria. Sono quei momenti in cui riusciamo a pensare a noi stessi, alle nostre faccende, in cui riusciamo a respirare un attimo, a riallacciare qualche rapporto magari, a riprendere le fila dei nostri pensieri. Lindsay e Brendan si alternano ancora alle voci ma il cantato è ora sempre assolutamente in pulito, avvicinando l’operato dei Nostri a quanto fatto dagli Empire! Empire! (I Was a Lonely Estate), dai Carissa’s Wierd o da certe cose riscontrabili nei Daughter: malinconica dolcezza emo quindi, unita a momenti quasi slowcore e a crescendo derivanti dalla scuola post-rock.
I venti minuti del disco scorrono velocemente ed i pezzi si susseguono l’uno dopo l’altro dando una piacevole sensazione di continuità, che invoglia a premere nuovamente “play” al termine del lavoro. Che, è ovvio, non sarà nulla di imprescindibile, magari non verrà ricordato negli annali della musica, eppure siamo certi che saprà conquistare chi vorrà dargli un ascolto, soprattutto se amante delle sonorità citate in apertura. Un lavoro semplice e genuino dunque, senza pretese ma con tanto cuore: una componente che da sola vale il prezzo del biglietto.
(Autoproduzione, 2022)
1. Falling
2. Lotus Eaters
3. Going Nowhere
4. This Isn’t New
5. Close My Eyes
6. All I Ask of You