Non è durato molto l’annunciato scioglimento dei piemontesi Ufomammut: neanche il tempo di rendersene conto che nel giro di un anno scarso il trio è ritornato sulla scena con un nuovo batterista in sostituzione dello storico Vita. E’ tempo del nono disco in studio dal titolo che appare come un manifesto interiore, ovvero Fenice, tramite la Neurot Recordings. Titolo che, dopo più di vent’anni di carriera basata sul doom psichedelico, vuole rappresentare la rinascita dopo che tutto sembrava finito per sempre. Oggettivamente le ultime uscite discografiche del combo nostrano, per ammissione degli stessi musicisti, avevano perso in spontaneità ma soprattutto sembravano voler continuamente autocitarsi nascondendo la mancanza di idee dietro una complessità forzata ed eccessiva. I presunti viaggi cosmici di un tempo necessitavano una svolta, un bel colpo di spugna per non finire in un buco nero.
Concepito inizialmente come un’unica traccia in forma di concept, questo Fenice è stato successivamente diviso in sei parti e la cosa particolare è che si presenta come una sorta di viaggio al contrario come se si stesse osservando il passato mentre si cammina verso il futuro. Il binomio sonoro che si crea è una fusione fra le novità inserite nell’album ed alcuni rimandi a ciò che ha reso importante la band. Si parte con l’inaspettata “Duat” piena di clangori industriali che salgono di intensità finché arriva l’atipico drumming del nuovo entrato Levre dal tocco davvero fresco che trascina gli altri musicisti con lui. Il guitarwork cambia abbandonando all’85% il doom per abbracciare un approccio garage/stoner stordente e psichedelico combinandolo ad un’elettronica ben legata al contesto del brano. La successiva “Kepherer” è una sorta di intermezzo ambient/drone enigmatico e minimale che prepara il viaggio galattico a nome “Pychostasia” grazie a massicci synth, vocals lontane e sorprendenti inserti chitarristici sludge/southern con dei giri ritmici carichi di un groove esaltante che non si arena mai ma anzi, cambia spesso registro mantenendo costante l’interesse. Il drone industriale continua a drogare il sound del trio avvalendosi di tocchi di chitarra soffusi e lisergici (“Metamorphoenix”) per poi ergere dei solidi muri doom che riportano piano piano al passato non dimenticandosi però di stemperarli in favore di trip psych pieni di melodie eteree. L’ultima parte è breve e concisa, un metal distorto e roboante, quadrato e diretto chiamato “Embryos” che mette la parola fine guardando questa parte come qualcosa di distante che magari ci si porterà dentro per non dimenticare da dove si è partiti. Considerazioni personali a parte, il disco funziona bene, ha dinamiche che non annoiano, ha una giusta durata e potrebbe attirare molti nuovi ascoltatori per la sua apertura.
Una piacevole ventata che profuma di cambiamento. Il futuro si prospetta molto più interessante di ciò che si credeva.
(Neurot Recordings, 2022)
1. Duat
2. Kepherer
3. Psychostasia
4. Metamorphoenix
5. Pyramind
6. Empyros