Chi segue la scena post-black/blackgaze probabilmente conoscerà già Unreqvited per la qualità sempre elevata dei lavori proposti e per la prolificità del progetto, che conta ormai 7 full-length in meno di dieci anni di attività e a cui vanno sommati un discreto numero di EP e split. Per chi invece non lo avesse ancora incrociato, stiamo parlando di una one-man band di Ottawa, Canada, dietro cui si cela Willow Vale (o, per meglio dire, 鬼, “Ghost”) e che da tempo si dedica, con risultati eccellenti, ad una miscela di atmospheric black metal, shoegaze, post-rock e ambient, declinando tali elementi in forme luminose o dalla venatura più oscura. In sintesi, parliamo di quella commistione di generi che ha reso grandi Alcest e band che hanno poi attinto dalla ricetta da questi realizzata.
La particolare capacità di Unreqvited è quella di legare i singoli album a temi specifici – l’amore del precedente Beautiful Ghosts, ad esempio – arrivando sempre ad una completa fusione tra ambiente concettuale e ambiente musicale. Parlando di un genere di derivazione estrema ma, per sua genesi, smussato e ammorbidito da elementi più eterei e contemplativi, la capacità del canadese di mettere in musica sentimenti e concetti intimi e complessi, probabilmente più difficile da raggiungere rispetto alla trasposizione in musica di sentimenti cari al punk, al death, al black duro e puro, permette poi ad Unreqvited di ritagliarsi un posto d’onore tra i protagonisti della nicchia di riferimento. Riuscire a rinnovare la proposta con una produzione discografica così ricca è poi una sfida che Ghost ha sempre affrontato e superato a pieni voti, passando dai panorami più malinconici dei primi lavori a quelli più luminosi dell’ultima parte della discografia, mantenendo un percorso di transizione privo di svolte improvvise ma costante e coerente nel tempo. L’elemento nuovo (o meglio, fortemente enfatizzato rispetto ai lavori più recenti) del qui recensito A Pathway to the Moon è un utilizzo ben più diffuso delle clean vocals, che affiancano ora in uguale proporzione le sezioni scream. Sono tanti i gruppi che hanno affrontato una fase di transizione di questo tipo (oltre ai già citati Alcest, anche i Deafheaven nel passaggio da New Bermuda a Ordinary Corrupt Human Love, per citarne uno) e, anche in questo caso, a livello di resa complessiva, il risultato ottenuto è degno di nota e frutto di una calibrazione sempre ponderata tra i due elementi. In particolare, le sezioni in cui il cantato “pulito” sfocia nello scream sono non di rado accompagnate da una componente strumentale sapientemente studiata per aggiungere una forte carica emotiva all’esplosione vocale. Interessanti, ancora una volta, le sezioni in cui emergono le trame di chitarra, che disegnano traiettorie ancestrali specialmente in brani come “The Antimatter” o, ancor di più, “The Starforger” o “Void Essence / Frozen Tears” e risultano perfettamente amalgamate con il cantato e le tastiere. In generale, parliamo dunque di un disco luminoso, portatore di sensazioni di rilassatezza e sospensione, dove lo scream supera isolamento e disperazione per condurre verso panorami lontani e distesi.
In album come questi, dove il filo conduttore tematico e musicale è parte fondante del lavoro, isolare e commentare i singoli brani non è la soluzione migliore per offrire una panoramica esaustiva, pertanto il consiglio è quello di dedicare ad A Pathway to the Moon il giusto tempo per farsi cullare dal suo incedere. Un bel disco, che prosegue il percorso di cambiamento a cui ormai Unreqvited ci ha abituato e che ha forse il limite di accontentarsi di esser “solo” un bel disco, che non lascia spazio all’eclettismo o a qualsivoglia sperimentazione. Sebbene siamo di fonte ad un album decisamente di alto livello, quando la qualità del musicista è così elevata è lecito aspettarsi un risultato ancora più esaltante.
(Prophecy Productions, 2025)
1. Overture: I Disintegrate
2. The Antimatter
3. The Starforger
4. Void Essence / Frozen Tears
5. Into the Starlit Beyond
6. Celestial Sleep
7. Departure: Everlasting Dream