Può la musica, in qualche modo, contribuire a elaborare il lutto, a sublimare il dolore che si prova quando viene a mancare una persona cara e quindi catarticamente raggiungere l’accettazione, ultima fase del processo definito da Elizabeth Kübler Ross? E inoltre, può esistere un disco, un’opera, senza un concetto dietro? Per rispondere alla prima domanda potremmo impiegare molto, troppo tempo. Un infinito numero di artisti ha cercato di rispondere (o di elaborare un proprio lutto) e tanti lo faranno in futuro. Fra i tantissimi vogliamo ricordare gli Amenra (come vedremo il riferimento non è casuale) di quel capolavoro che risponde al titolo di Mass VI e non solo quello. Il tempo da impiegare per rispondere alla seconda domanda non sarà di sicuro inferiore a quello speso per la prima, soprattutto dato il quadro attuale della proposta artistica in generale per il quale senza una cornice, una narrazione, non si va da nessuna parte. Aftryk, prima uscita sulla lunga distanza per i danesi Vægtløs, è uno strumento su cui riflettere riguardo ai quesiti posti a inizio recensione.
La proposta del quartetto di Aalborg parte, fondamentalmente, dal post-metal dalle forti tinte black ma sul quale si stratificano anche influenze post-hardcore, post-rock e emo. Il tutto è caratterizzato dalle ferine urla, in lingua danese, del vocalist Troels H. Sørensen (responsabile anche dei testi). Con Aftryk i Vægtløs vogliono essere un ponte, come recitano le note promozionali, per colmare quel vuoto che si apre tra il momento in cui nasce la consapevolezza che tutto muore e il potere catartico della musica. Il ponte si compone di quattro mattoni e risulta essere ben solido soprattutto nel primo e nell’ultimo. L’album comincia con la bellissima “Ingenting kan forhindre at små struber skælver en forårsnat”: un recitato accompagnato dagli accordi di basso ci porta all’ingresso degli scream ed è chiaro come appunto gli Amenra siano uno dei primari riferimenti dei Vægtløs. Il pezzo prosegue poi con un’alternanza tra blast beat e tremolo e parti più propriamente post-metal, ma ciò che colpisce e non poco è il portato di passione e l’onestà che i danesi hanno investito in questo pezzo e in questo lavoro. Merita, peraltro, la visione del video che accompagna l’uscita del singolo, un elegantissimo e particolare cortometraggio in cui un raggio di luce rosso va a occupare gli spazi dell’assenza. È un peccato che il secondo e il terzo pezzo non mantengano l’altissimo livello dell’opener. “Først da vi bar din kiste, gik det op for mig, hvor meget tungt du skulle igennem, før du blev så let” è caratterizzata dalla stessa struttura di “Ingenting…” ma i singoli riff non riescono a lasciare un’impronta (che è la traduzione peraltro del termine “aftryk”) memorabile nonostante la prima parte. Lo stesso accade con il pezzo successivo “Her i vores hjerter bærer vi en ny verden”, forse il più sperimentale del lotto ma nel quale l’eccessiva ricercatezza dei singoli passaggi rischia di sfumare in scelte un po’ astruse e confusionarie e, visto invece l’intenso finale, ci lascia un po’ di amaro in bocca. Le cose migliorano e di molto con la canzone che chiude Aftryk, ossia “Tag dit knuste hjerte og lav det til kunst”. Un delicato dialogo tra basso e chitarra apre un pezzo che può riportare alla mente, in alcuni passaggi, qualcosa dei Light Bearer in quanto a epicità e drammaticità e che non può non toccare alcuni punti delicati e deboli di ognuno di noi. Si chiude così un disco composto da pezzi lunghi, tutti intorno ai 9 minuti di durata, nei quali i Vægtløs hanno tutto il modo di trasformare in musica il concetto che ha guidato la loro ispirazione.
Aftryk non è un lavoro perfetto, assolutamente. Alcune scelte stilistiche e compositive dubbie non fanno apprezzare a pieno la qualità della proposta. Ugualmente colpevoli sono il mixaggio e la produzione in generale che sia per i suoni scelti sia per i volumi (soprattutto della chitarra) tendono a far uscire soprattutto le parti più veloci impastate e quindi lievemente cacofoniche. Eppure abbiamo ascoltato un album che lascia qualcosa, che effettivamente riesce a colmare il vuoto di cui parlavamo nella prima parte. È bello, è importante che ci si sia voluti concentrare sulla vulnerabilità di ognuno di noi e che questo sia stato fatto con una franchezza e con una onestà che rende tanto merito ai quattro danesi (e che fa guadagnare ad Aftryk mezzo punto nel voto finale). Ci torna in mente, però e comunque, la seconda domanda che ci siamo posti in apertura di recensione. Può un’opera esistere senza un concetto? Francamente, questo disco ci avrebbe colpito se non avesse trattato dell’elaborazione del lutto e di come questa è stata trattata? Forse sì (se pensiamo alla prima e all’ultima canzone assolutamente sì), forse no, forse non importa e ci lasciamo avvolgere dalle sensazioni e dalle emozioni che ci ha lasciato l’ascolto di questo album onesto e sincero. Con un timido sorriso rivolto al ricordo di chi ci ha lasciato.
(Flames Don’t Judge Records, Fresh Outbreak Records, Voice of the Unheard Records, 2024)
1. Ingenting kan forhindre at små struber skælver en forårsnat
2. Først da vi bar din kiste, gik det op for mig, hvor meget tungt du skulle igennem, før du blev så let
3. Her i vores hjerter bærer vi en ny verden
4. Tag dit knuste hjerte og lav det til kunst