
The Abyss into which We All Have to Stare non è solo l’album che segna il ritorno dei Void Of Sleep dopo un silenzio durato cinque anni, ma anche l’occasione per festeggiare i primi quindici anni di carriera, e per fare, conseguentemente, un piccolo bilancio del tempo che hanno trascorso insieme come band. Restando, in apertura, sul disco, non possiamo che dichiarare tutta la nostra più totale adesione in merito. The Abyss into which We All Have to Stare si lascia infatti apprezzare in tempo quasi reale, mentre ancora non siamo stati in grado di scoprire nemmeno la metà di tutte le piccole gemme che la band ravennate ha seminato tra i solchi del lavoro. Siamo (stati) immediatamente conquistati dalla colata nichilista che ci ha sommerso sin da subito. L’album si caratterizza infatti per un piglio intimista che finisce per sfociare in una deprimente crisi interiore derivante dalla percezione che si fa realtà, e che quindi indirizza il loro e il nostro pensiero verso la certezza di avere davanti un futuro negativamente orientato all’assenza di ogni tipo di speranza. Che si tratti di quello prossimo venturo, o che si parli del domani che ci attende dietro l’angolo, non cambia nulla. L’uomo (dapprima) e la società (conseguentemente, e inevitabilmente) hanno mostrato tutta la loro fallibilità.
Questo da un punto di vista strettamente concettuale. Andando invece a sondare nel profondo del disco, in cerca di quelle sonorità che (come detto) ci hanno immediatamente attratto, l’album mostra un carattere difficilmente rinchiudibile in una ridotta sequenza lessicale. Sono infatti troppe le sollecitazioni che i Void Of Sleep sono riusciti ad inserire nei loro cinquantadue minuti (suddivisi in sei brani più intro) per poter anche solo pensare di ridurre tutto appoggiandoci ad un termine che sintetizzi il loro sound (e qui torna, concedetelo, la nostra lotta con la classificazione in generi musicali). Abbiamo tra le mani un disco dal piglio deciso, caratterizzato da un distacco emotivo che si assottiglia fino a degenerare in una soffocante sensazione di immedesimazione con i brani. Una cosa che ci piace sottolineare è la totale assenza di cacofonia che pervade l’album. The Abyss into which We All Have to Stare suona infatti in modo sublime proprio perché non eccede mai, e non degenera in soluzioni tanto immediate quanto facili. Resta cioè ancorato ad un’idea di fondo intorno a cui è costruito. L’energia di un lavoro come questo è un qualcosa che travolge ma senza picchiare duro. Un qualcosa di cui ti accorgi quanto è ormai troppo tardi e sei completamente schiavo delle divagazioni di una band che mostra un solo limite – quello di non averne alcuno, e quindi di risultare (paradossalmente) quasi ostica, nel momento in cui si sposa nella sua stessa bellezza. Ma non c’è nulla di male, ci sono realtà che possono specchiarsi senza alcun tipo di problema, e i Void Of Sleep sono sicuramente tra loro. La padronanza della band in fase di composizione, e di arrangiamento, ha raggiunto (e pare essere in grado di mantenere) un livello decisamente invidiabile, magari non immediato, soprattutto per chi su queste nostre pagine cerca la violenza, l’azione diretta e travolgente. The Abyss into Which We All Have to Stare è invece un disco molto ragionato, misurato in ogni sua parte, pensato per tradurre in musica tutto il dolore che è stato usato per crearlo. Ci sono voluti cinque anni per metterlo a punto, ma crediamo, ascoltandolo e riascoltandolo in queste nostre giornate di inizio inverno, che ne sia valsa assolutamente la pena. Possiamo pensarlo come un album (realmente) introspettivo, che mette in difficoltà al primo ascolto per il suo saper essere profondo, pregno di contenuto, malinconico ma tutt’altro che triste.
Il problema (vero) è che un disco di questa portata risulta ostile a chi non ha la libertà mentale per farlo immediatamente suo, per esserne conquistato al primo ascolto, per non essere in grado di coglierne le infinite (e talvolta celate) sfumature. Un disco che sentiamo di definire come intelligente. Non ci sono altri termini che possano rendere tangibile il crescendo emotivo che cresce brano dopo brano e che ci tiene incollati all’ascolto. Molto meno diretto rispetto al passato, l’album crediamo possa essere inquadrato come un rituale di passaggio per possa permetterci di pensare al loro prossimo disco come ad un qualcosa in grado di stravolgere definitivamente la loro carriera. La bellezza, questa volta, la troviamo nel non riuscire a inquadrarlo, così immerso in un universo cangiante di sensazioni sonore che avvolgono e spiazzano, ma con criterio, con le idee chiare, non per il gusto di stupire e mostrare i muscoli. Ci sono, ovviamente, ancora alcune piccolezze da limare, ma si tratta di un qualcosa che loro conoscono senza dubbio molto meglio di noi. Piccoli accorgimenti che non tolgono nulla alla resa complessiva, ma che, se sistemate, potrebbero veramente consegnarci, in futuro, un album praticamente perfetto. Ma non c’è nessuna fretta, lasciamoli lavorare con tutta la calma che ritengono necessaria, intanto continuiamo a rimettere The Abyss into Which We All Have to Stare da capo. Al resto penseremo dopo.
(Aural Music, 2025)
1. Dark Gift
2. Omens From Nothingness
3. Misfortune Teller
4. Lullaby of Woe
5. From An Unborn Mother
6. Phantoms of Nihil
7. Of A Demon In My View


