Rispetto all’altra release che la Magnetic Eye Records ha dedicato ai Jethro Tull, quella della versione Redux dello storico Aqualung della band di Ian Anderson, questo Best of Jethro Tull (Redux) ha a nostro avviso un appeal minore. Cerchiamo di spiegarci al meglio. Si tratta di due release sostanzialmente simili, ma solo a prima vista. Stessa band da coverizzare, stesse o quasi realtà contemporanee coinvolte. Quello che muta e che ci fa preferire l’altra raccolta sta nel fatto che in quel caso si trattava di un album specifico, il quarto, quello della “svolta” epocale, quello che abbiamo ascoltato tutti – o quasi – quello che ci viene in mente quando si parla della band. Se è vero che ci sono anche nella musica delle icone che non risentono dell’andare del tempo, Aqualung è una di queste, senza alcun dubbio. Quello che non convince in questo caso è la scelta dei brani ancor prima di quella dei partecipanti e delle interpretazioni. La carriera dei Jethro Tull parte nel 1967, e arriva fino agli albori degli anni Duemila. Per poi riprendere dopo una lunga pausa e, stando a quanto affermano loro stessi, prosegue ancora oggi, anche se avremmo da obiettare, in quanto da sempre contrari alle cure palliative che tengono in vita dinosauri che hanno irrimediabilmente fatto il loro tempo, e che da decenni non realizzano un disco degno di tale nome. Ma questo è un altro discorso che rischia di portarci fuori strada, e che, forse, un giorno approfondiremo in altra sede.
Limitare quindi a soli otto brani una storia lunga quasi sessant’anni è un qualcosa in cui crediamo molto poco. Crediamo che, almeno un gatefold a due vinili, se non tre, sarebbe stato il minimo sindacale. Ma, evidentemente, alla Magnetic Eye Records la pensano diversamente. E, siccome, sono loro a cacciare i soldi, sono automaticamente loro ad avere l’ultima parola. Ma non è tutto. Non è chiaro nemmeno il motivo per cui i brani siano stati selezionati soltanto da quattro album, e cioè Stand Up (1969), Benefit (1970), Living in the Past (1972) e War Child (1974). Con una carriera così vasta ci saremmo aspettati una scelta meno limitata (e limitante). Per capirci, lo stesso titolo è stato usato dalla band per una raccolta del 2001, che, oltre a comprendere venti brani, spaziava tra il 1969 e il 1995.
Restando sul disco, al netto di tutta questa – forse inutile, ma per noi doverosa – premessa, l’album si lascia ascoltare. Le band coinvolte fanno del loro meglio e non sfigurano nella riproposizione dei grandi classici della band britannica. In linea di massima tranne forse un paio di episodi, emerge una certa omogeneità di fondo nella scelta sonora, cosa piuttosto insolita considerando le diverse estrazioni delle singole band coinvolte. Dovendo scegliere, però, non abbiamo dubbi, molto meglio Aqualung (Redux).
(Magnetic Eye Records, 2024)
1. Mr. Bison – Reasons for Waiting
2. Sweat – Back to the Family
3. Hashtronaut – Bungle in the Jungle
4. Elephant Tree – We Used to Know
5. The Golden Grass – The Teacher
6. Sergeant Thunderhoof – Son
7. Oceanlord – Sweet Dream
8. Lowrider – Nothing to Say