Sebbene siano una compagine abbastanza giovane, i Wolves in Winter hanno dimostrato di avere le idee molto chiare: vogliono suonare musica pesante. Gli inglesi infatti si collocano in un crocevia molto ben misurato di più stili, che vanno dall’heavy più tradizionale al doom dei Paradise Lost. A dirla tutta, guardando la line-up si può constatare da subito come l’esperienza non manchi a questi ragazzi inglesi, arrivando da band come Solstice, Lazarus Blackstar, Monolith Cult e Slammer.
Supportati dalle alchimie di Chris Fielding (dei possenti Conan), i Wolves in Winter arrivano finalmente a produrre il primo full dall’evocativo nome The Calling Quiet, affinando ancora di più le loro qualità compositive e spingendo maggiormente sulla pesantezza del riffing (come nel caso di “Nemesis”). Il risultato è un disco convincente, che appaga all’ascolto e riporta se vogliamo un po’ in vita alcune sonorità un po’ sopite ultimamente. Ovviamente ci si riferisce alle sfaccettature più squisitamente heavy, soprattutto vocali. Non mancano i tasselli più trasversali ovviamente, come nel caso dell’ottima “Pastime for Helots”, forse il punto più alto di questo The Calling Quiet e perfetta rappresentazione tra il doom/stoner e suoni più “tradizionali”.
Intendiamoci, se cercate un album che possa far rivivere i vecchi fasti del più sono heavy metal, beh questo non è il disco giusto. The Calling Quiet è senza dubbio un buon lavoro, ispirato e sincero. Penso che però ci voglia quel qualcosina in più per renderlo memorabile; malgrado la già citata sincerità infatti, purtroppo le soluzioni trovate dai Wolves in Winter non riescono ancora a togliersi di dosso quell’aria di già sentito. Non gliene si può fare una colpa, la band è ancora giovane. Ma chi lo sa, potrebbero cambiare la carte in tavola più in la e spingersi verso altri lidi, osando magari un po’ di più.
(Argonauta Records, 2023)
1. The Cords That Ends the Pain
2. Nemesis
3. Pastime for Helots
4. Promised Harvest
5. Oceans
6. Calling the Quiet