Tavallodi Digar, album d’esordio per gli Yalda, rappresenta perfettamente cosa significa avanguardia oggi nel significato più puro del termine. Senza se e senza ma di circostanza. La liaison tra Lalé Kouchek, cantante di formazione lirica alle prese con la sperimentazione sonora a 360°, e una vecchia volpe come Berna (Toxic Picnic, Cut Of Mica, Kramers e Meganoidi) ha partorito un album di grandissima classe, caratterizzato dalla contaminazione tra mondi non così distanti come si potrebbe pensare, sia a livello concettuale che sonoro. Lalé pur essendo all’esordio in un contesto “di gruppo” riesce a calarsi alla perfezione nel ruolo, dando l’impressione di una veterana, soprattutto sul palco.
Le sue origini iraniane le permettono di sperimentare un linguaggio sonoro cucito su sé stessa alla perfezione. Direzione che appare evidente sia da un punto di vista musicale che concettuale vista la scelta di cantare in farsi (lingua ufficiale in Iran, Tagikistan e Afghanistan). Scelta di grande coraggio che denota grande personalità all’interno di un mondo sempre più statico. Inevitabile che i tappeti sonori di Berna che la accompagnano, completandone il percorso, finiscano per guardare a melodie mediorientali ammiccanti e seducenti ma soprattutto di grande versatilità. Anche se, etnicamente parlando, non mi sentirei di escludere una certa influenza (magari involontaria) che guarda da un punto di vista strettamente litanico a quel Sud Italia misterioso fatto di territori ancorati a ritualità ancestrali che tendiamo troppo spesso a liquidare come ataviche e quasi primitive. C’è un qualcosa che lega il vissuto di queste zone alienate dalla storia e il fascino della Persia cantato da Lalé. Tavallodi Digar, uscito recentemente per la Taxi Driver di Massimo Perasso, ce lo testimonia in modo indiscutibile, al di là di ogni ragionevole dubbio. E al tempo stesso ci mostra un duo decisamente a proprio agio, che mostra di sapere assolutamente dove vuole portarci. Un album “trance” che trasporta la mente. Non fosse altro per il fatto che, letteralmente, “Tavallodi Digar” sta a indicare un’altra rinascita, che si sostanzia, brano dopo brano in un “planare dall’alto tra i propri abissi interiori” guidati da una luce che ci guida attraverso l’oscurità.
Tavallodi Digar è quindi un disco oscuro solo in apparenza. C’è una luce di fondo, non del tutto esplicita, che gli Yalda ci invitano a ricercare. Non è e non sarà un percorso facile, ma sicuramente è un viaggio necessario che dobbiamo compiere. Guidati dalla sciamana Lalé, con il suo canto bilanciato tra i testi della poetessa persiana Forough Farrokhzad prematuramente scomparsa e il proprio vissuto interpersonale, siamo pronti a celebrare la sconfitta dell’oscurità. Proprio come avviene nella comunità iraniana, nella notte di Yalda, la più oscura dell’anno, che coincide con il solstizio d’inverno, quando le famiglie si riuniscono già dal pomeriggio e tra cibo e letture trascorrono tutta la notte in attesa della celebrazione del mattino, della luce.
(Taxi Driver Records, 2022)
1. Hedie
2. Tavallodi Digar
3. Nasim
4. Dar
5. Khushouf
6. Adlay
7. Pejvak