È sorprendente per una band come gli Zao, che ha già all’attivo una discografia spettacolare e che sembrerebbe aver già dato tutto, salire in cattedra, dopo sette anni senza un full-length, con un lavoro che sa di maturità compiuta. Facciamo un passo indietro, però. Abbandonata la Ferret dopo l’ultimo, poco entusiasmante, Awake?, gli Zao si trovano in una situazione artistica indipendente e richiamano la seconda chitarra Codgell con cui iniziano i lavori di questo The Well-Intentioned Virus. Il primo antipasto dell’album risale ormai al 2015, quando uscì l’ep autoprodotto Xenophobe, la cui title track troviamo pure qui, e che voleva rendere l’idea della strada che avrebbe preso il nuovo corso della band. Il meglio dei fasti passati, cioè, con quell’ingresso dall’impatto impressionante, e un approccio più maturo e meno luminoso alle nuove aperture melodiche ricercate negli ultimi album; si faccia caso al lento scivolare in strutture imparentate con il math/metalcore imberbe e acerbo dei primi Between the Buried and Me.
Grazie a questo rodaggio, gli Zao hanno vissuto la favola dell’indipendenza e l’autonomia stilistica che ne è conseguita gli ha permesso di sfornare un album che non deve abbassare gli occhi davanti a nessuno. E l’hanno coraggiosamente lanciato ai primi di dicembre, quando le redazioni iniziano a fare i conti con le classifiche di fine anno e si affrettano a chiudere l’ultima tornata di uscite, rischiando pericolosamente con ciò che non gli venisse assegnata la giusta eco. Tracciano, invece, una percorrenza possibile, quella dell’indipendenza artistica, ad un genere come il metalcore che, a parte qualche grande uscita, versa in cattivissime acque, con una reputazione in discesa libera, una credibilità da recuperare e con tante nuove proposte che annaspano qualitativamente, snaturate e imbastardite da forzate influenze prog ed elettroniche.
Certo, l’album presenta anche qualche fisiologico calo, ma nell’insieme gli Zao riescono a comporre un lavoro che, senza grosse forzature, mette sul piatto, in maniera coesa, tutte le loro influenze, grazie a un songwriting disinvolto e cupo come non mai – lo si può intuire già dall’artwork. L’ingresso in grande stile, trionfante come una resurrezione, viene affidato a “The Weeping Vessel”, che tonfa ex abrupto nell’oscurità per colpire inaspettatamente allo stomaco con un Weyandt che, col suo inconfondibile timbro, sputa veleno sin da subito, sviluppa le proprie trame tenendo conto del loro particolare modo di rallentare e ripartire e si infittisce fino a diventare un budello enormemente buio. La titletrack è gonfia, serrata e imponente, un treno inarrestabile che, pur avventurandosi in territori chaotic, né si lascia fagocitare dai suoi labirinti né eccede in ridondanti snobberie. E ancora gli Zao appaiono geometrici e solidi in “Jimba Ittai”, col suo riffing metallic hardcore arricchito da voli pindarici negli stacchi, senza mai perdere quel puzzo di zolfo e quell’attitudine sporca.
Non mancano nemmeno grandi momenti di apertura, che ricordano gli approcci melodici delle grandi band del genere. Quello dei Vision of Disorder in “Observed / Observer”, dei Poison the Well in un’”Apocalypse” dalle melodie profonde ed orgogliose, mai plastificate, che svela l’affezione della band verso un’ossessiva ricorsività, impregnata di pathos persino nei più feroci ruggiti di Weyandt. O, ancora, quello dei Dillinger Escape Plan in una “Broken Pact Blues” che trasuda inquietudine, per via di un drumming teso, e che si chiude con un muro titanico, tanto grandioso e tronfio quanto sporco e profondamente nero. Ancora qualche apertura in “Haunting Pools” – che sfuma subito però, anche in maniera inquietante – addolcisce il rimanente massacro. In chiusura è posta la lunga “I Leave You in Peace”: stilosa, incede solenne, con una seconda chitarra che si mostra essenziale nel ricamare orpelli che arricchiscono il tessuto e con spoken words declamatori, in quella che è una nera, angosciante, liturgia. The Well-Intentioned Virus è una manata, bisognerà tenerne conto e ripartire anche da qua se si vuol ridare credibilità al genere. Ci auguriamo che venga scongiurato il rischio di farlo sparire rapidamente, e immeritatamente, nel dimenticatoio.
(Observed/Observer Recordings, 2016)
1.The Weeping Vessel
2.A Well – Intentioned Virus
3.Broken Pact Blues
4.Jinba Ittai
5.Apocalypse
6.Xenophobe
7.Haunting Pools
8.Observed/Observer
9.The Sun Orbits Around Flat Earth Witch Trials
10.I Leave You in Peace