Il duo tedesco Zement è probabilmente uno dei migliori esponenti di quella corrente di rock sperimentale tanto cara a colleghi come Föllakzoid, Maserati, Neu! e Trans Am, Beak>. Decisi come non mai ad allargare le proprie vedute musicali, i due musicisti di Würzburg (Christian Büdel alla batteria ed il polistrumentista Philipp Hager) ritornano con il terzo album chiamato Rohstoff (traducibile come “materiale grezzo”). In questo disco si decide di puntare molto su di un approccio elettronico decisamente orientato a sfumature techno ed EDM combinandole al tipico sound kraut rock dei dischi precedenti senza dimenticare la sperimentazione.
Ascoltando l’album si possono percepire tre direzioni diverse in cui esso si dipana mostrando sì una maturazione ed allo stesso tempo però non una chiara direzione definitiva da seguire. Non ci si lasci ingannare troppo dall’opener “Goa” in quanto le frizzanti derive danceable mischiate a sonorità acido/psichedeliche sono una sorta di porta per finire dentro ad un flusso non così prevedibile. I danzerecci synth lasciano presto spazio ad acide visioni prog rock di ovvia scuola tedesca (i muri di distorsione di “Soil” e “Atem” presentano l’anima più tipicamente rocciosa del duo) per poi dividersi ulteriormente in due. Da una parte viene fuori un anima jazz allucinata che prima si ubriaca di allucinazioni (“Kleiner 3”) e successivamente si lancia in sfrenate danze notturne in qualche rave party (“Zunder”) avendo cura di non dimenticarsi mai del sax. C’è molta carne al fuoco eppure appare disconnessa confermando le impressioni già espresse in precedenza. Fortunatamente la notevole abilità di condensare, in pochi minuti, parecchi elementi senza che il pezzo risulti noioso è un fortissimo elemento positivo. La maggior parte delle tracce non di dilaga in inutili perdite di tempo soprattutto nei due monoliti di circa dieci minuti che sono probabilmente gli episodi migliori. Il primo macigno è l’ossessione oscura di “Seine”, magnetica ed ossessiva ai limiti del drone con i suoi gelidi synth atti ad equilibrare l’elettronica e lo space rock mentre la chitarra acida si diletta in viaggi hendrixiani non disdegnando anche bordate alla Funkadelic. Il secondo pugno ai padiglioni auricolari si intitola “Entzuecken” e sfrutta beat ipnotici, melodie visionarie ed atmosfere spaziali che con il passare dei minuti si evolvono in sinfonie robotiche ed esplosioni dance. In chiusura c’è una sorta di outro a nome “Ecke 54” che spegne le ostilità tirando fuori dal cilindro un noise/ambient cupo e distruttivo.
Opera multiforme e che prende le sperimentazioni del passato (i modelli plasmati dai Kraftwerk sono palpabili) per aggiornarle al giorno d’oggi e va detto che il bersaglio è centrato pienamente ma sarebbe servita più coesione di idee. In ogni caso, promossi!
(Crazysane Records, 2021)
1. Goa
2. Soil
3. Seine
4. Kleiner 3
5. Zunder
6. Entzücken
7. Ecke 54
8. Atem