A quattro anni dall’ottimo Delusion of Negation, i pugliesi Zolfo tornano agli onori della cronaca col secondo full-length in carriera, Descending into Inexorable Abscence, un monolitico lavoro di quasi un’ora che esplora, con le sue sei tracce, i temi di malessere e sofferenza che i Nostri tanto bene riescono a portare in musica. Quasi un’ora, dicevamo, di doom metal atmosferico e con le tendenze più varie, che si manifestano spesso nel funeral e nel black, complici le vocals acide e gracchianti che perennemente accompagnano il comparto strumentale.
Superata la breve – e superflua – intro “Last Layers”, chi ascolta viene immerso nell’atmosfera scura e opprimente che permea tutto Descending into Inexorable Abscence, e che se non lo farà innamorare nei primi due minuti di “Lament of the Light” non lo farà per i restanti cinquanta e passa dell’album. I toni fumosi ed evocativi, diffusi come da un incensiere dai piatti cadenzati e dalle chitarre strascicate, si impongono immediatamente come caratteristica saliente e punta di diamante del lavoro. Il crescendo che fa da spina dorsale al primo brano, per quanto il mordente non manchi alle tinte sludge del riff principale, si perde nel grigio mare del complesso, e risulta diluito nei quasi dieci minuti di durata del brano. La successiva “No Home for an Eternal Wayfarer” si sviluppa – fatte le opportune distinzioni tra il doom più classico e il doom-black moderno – sullo stesso schema, con la sua costruzione graduale a sfociare in un marasma sonoro di malessere e fuzz dissonanti, della canzone precedente. Pesante e opprimente certo, ma in modo affatto diverso da mille altre canzoni prima di lei e altre mille nei prossimi anni. “Admire the Mire” è senza dubbio uno dei motivi per cui Descending into Inexorable Abscence va ascoltato almeno una volta: il riff diretto e dinamico, con quel tanto di melodico che basta a mantenere viva la linea atmosferica che i Nostri hanno voluto dare al lavoro, insieme alle sfuriate black metal che rendono viva e presente la canzone nelle orecchie di chi ascolta, ne fanno la traccia migliore dell’album. Segue l’indiavolata “Apoptosis”, forse il pezzo più originale di Descending into Inexorable Abscence, dopo la quale si chiude con “Silence of the Absolute Absence”, una suite (come dicono quelli bravi) su cui ho ben poco da dire, perché ben poco vi succede. L’unico aggettivo veramente descrittivo, con cui mi spiace andare a capo ma che mi fiorisce sulla punta delle dita, è “lunga”.
Ricco di momenti di grande doom metal costruiti con sapienza, Descending into Inexorable Abscence pecca di autoreferenzialità, rivelandosi per lunghi passaggi prolisso e posticcio, nel suo voler creare a tutti i costi un’atmosfera che un terzo dei movimenti, condotti con un briciolo di concetto in più, avrebbero saputo costruire. Dopo il riuscitissimo esordio, gli Zolfo non possono più giocarsi la carta dei novellini, e per il terzo full-length, che io aspetto con più ansia di chiunque abbia amato questo lavoro, spero decidano che taglio vogliono dare alla propria musica, ad oggi decisamente troppo acquosa e dispersiva.
(Violence In The Veins, 2024) 1. Last Layers 2. Lament of the LIght 3. No Home for an Eternal Wayfarer 4. Admire the Mire 5. Apoptosis 6. Silence of the Absolute Abscence