A cinque anni dall’ultimo lavoro in studio, del tutto a sorpresa, in digitale, e in piena pandemia i torinesi O hanno pubblicato il nuovo album Antropocene. L’internet più attento ne ha già parlato in lungo e in largo: noi di GOTR arriviamo un po’ tardi, ma non avremmo mai rinunciato a dedicare uno spazio a una band del genere e a un disco che, lo diciamo sin dall’inizio, è clamoroso. A tal proposito abbiamo anche contattato il vocalist Samuele e il bassista Maurizio per scambiare due parole e approfondire alcuni dettagli di questa release: l’intervista la trovate più giù, nel frattempo vi diciamo la nostra.
Avevamo già apprezzato la commistione di black metal, hardcore, grind e crust messa in atto dagli O in Il Vuoto Perfetto (2012) e soprattutto Pietra (2015), ma qui ci troviamo davanti a un’altra storia, segno che il progetto è giunto a un nuovo livello di maturità. Se il debutto era un tuffo nel nulla impercettibile, se Pietra era, appunto, una massa compatta e irremovibile, Antropocene è una minaccia perentoria, una lama affilatissima. C’è qualcosa di terrificante nel contenuto sonoro del disco: forse un riffing dannato e selvaggio, forse le continue aperture abissali, forse una batteria frenetica, forse le urla bestiali di Samuele, interprete di una performance da brividi, in parti vocali distorte e continuamente alla soglia del clipping. O forse è il concorso di tutti questi elementi a far suonare l’album come la narrazione di un’apocalisse imminente a cui non puoi sottrarti, una verità atroce della quale non puoi che prendere atto, in silenzio. E poi ci sono i testi, che hanno un peso specifico non indifferente, sia perché scritti in lingua madre, sia perché veicoli di un concept di spessore. Certo, dire che l’essere umano è una merda, così tout court, senza alcuna speranza di redenzione, è forse un po’ sbrigativo, ma il messaggio degli O è così inequivocabile e diretto che non puoi non sentirti anche tu in colpa, parte di un tutto deplorevole, giustamente oggetto di un ferocissimo j’accuse.
Insomma, Antropocene è stato il proverbiale fulmine a ciel – diciamo – sereno, vuoi per l’impulsività della pubblicazione, vuoi per un contenuto sonoro sorprendentemente irruento, vuoi per l’incredibile aderenza ai tempi che stiamo vivendo. Abbiamo di fronte uno dei migliori album usciti nella prima metà dell’anno in Italia e non solo, e di certo un validissimo esemplare di ciò che può partorire la cosiddetta scena.
(Autoproduzione, 2020) 1. イゾウ (IZŌ)
2. Mare Morto
3. C.
4. Escluso
5. Nebbia
6. Fine
7. Ira
8. Crepa
9. Era
8.0
Benvenuti su Grind On The Road. Sono passati ben cinque anni da Pietra, e avete deciso di pubblicare il nuovo Antropocene in un periodo piuttosto complicato, e tra l’altro a sorpresa, quasi senza annunciarne la release. A cosa sono dovute queste scelte?
Samuele (voce): Tutti hanno sofferto di questa improvvisa clausura. E anche noi, ovviamente. Stavamo rimettendo a posto la scaletta con la nuova line up ed eravamo entusiasti prima che questa merda di virus esplodesse. Siamo in ottimi rapporti tra di noi e ci siamo mantenuti costantemente in contatto. Avevamo questo album che ruggiva e stava nascosto… E così ci siamo detti “perché non spararlo fuori ora?”. Le nostre tematiche erano più che mai coerenti con il disastro sociale, economico e sanitario che infuriava… Qual malo vento migliore per fare uscire un album così simpatico?
“Non sempre ciò che vien dopo è progresso”: con questa citazione avete accompagnato la pubblicazione del primo estratto “C.”. Considerando il titolo dell’album, ma anche i testi, è facile pensare a una riflessione sull’evoluzione, sull’opera e il ruolo dell’uomo nella natura. E’ così? Come commentereste il concept?
Maurizio (basso): Quella frase ci è piaciuta perché fa riflettere; guardiamo il punto dove siamo arrivati: è davvero progresso distruggere e sfruttare il pianeta fino allo stremo? È progresso andare al supermercato e trovare centinaia di animali impacchettati, allevati chissà dove/come e pronti per essere schizofrenicamente consumati? È progresso il fatto che moltissimi dei nostri coetanei, e non solo, non abbiano di che vivere? È progresso la nascita sempre più disperatamente triste dei movimenti nazionalisti?
Come mai avete da sempre deciso di comunicare in lingua italiana nei vostri testi?
Samuele: Devi sapere che gli O nascono dalle ceneri dei Deprogrammazione, una band molto valida di cui faceva parte Maurizio e tre dei nostri ex membri. Li seguivo ogni volta che potevo e ammiravo moltissimo il fatto che si esprimevano in italiano. In quegli anni cantavo in due progetti metal, uno death melodico e uno thrash/death ma non mi soddisfaceva affatto l’utilizzo dell’inglese nei testi. Li scrivevo quasi in modo automatico ma non mi dicevano nulla. Niente contro chi scrive in inglese, ci mancherebbe. Ma per quanto sia guasta sotto mille altri punti di vista, l’Italia ha una lingua e una grammatica superba e quando fondammo gli O fui molto felice di potermi esprimere con il nostro linguaggio madre, che ritengo sia molto espressivo e poetico.
Da un punto di vista strettamente musicale, invece, l’album suona abissale, disperato, meno muscolare rispetto alle cose passate. E’ anche questo un risultato dei tempi che viviamo, che anche pre-pandemia non è che risplendessero?
Samuele: Sono d’accordo con te. È il nostro lavoro più violento e nichilista e questo per diversi fattori, fattori musicali e crescita a livello di padronanza degli strumenti, fattori sociali e disastri personali. Antropocene è come se partisse dal disagio soggettivo di ognuno di noi per poi espandersi come un cancro maligno che raggruma tutto lo schifo di questi tempi. Ed è ahimè parecchio.
Ciò che suonate unisce istanze tipiche del black metal a quelle dell’hardcore/crust. Voi lo fate in maniera sicuramente personale, ma d’altro canto c’è tutto un panorama di band, in Italia come all’estero, che ha adottato forme simili, quelle del cosiddetto blackened hardcore. Vi sentite parte di questo filone? Quali band secondo voi sono cruciali per comprendere il genere, quali l’hanno sviluppato con risultati migliori?
Maurizio: Sia il black metal che il crust sono generi che abbiamo ascoltato molto e che amiamo ma, negli anni, abbiamo cercato di staccarci dalle varie etichette che a volte ingabbiano un po’ le proposte musicali dando un senso un po’ stupido e superficiale al tutto. Parlando comunque dell’unione di questi generi da te citati, penso a band immense come Skitsystem, Wolfbrigade, Cursed, Total Jävla Mörker, Tragedy. Personalmente ritengo queste band davvero dei capisaldi e trovo che buona parte del filone “blackened hardcore” attuale spesso pecchi di manierismo e che abbia il triste effetto “minestra riscaldata”.
Nell’ultima traccia, “Era”, è ospite alla voce Alex dei Sedna. Com’è nata la collaborazione? Pensate che questo genere di incroci fra band possa in qualche modo alimentare un’idea di scena?
Samuele: Alex mi chiese quando e dove andassimo a registrare, gli dissi che lo avremmo fatto allo Studio 73 del grande Riccardo Pasini. Mi propose una collaborazione ed accettai molto volentieri, perché ammiro moltissimo il suo lavoro nei Sedna e dal vivo sono sempre fantastici nonché ottimi compagni con cui ridere e scherzare. La collaborazione è venuta decisamente ben e sono molto carico all’idea di farne altre appena sarà il momento di registrare nuovo materiale.
I titoli e i testi sono ridotti all’osso, l’artwork è bellissimo ma minimale – ricordiamo che l’artwork di Pietra era addirittura inesistente, o meglio, il disco stesso lo era – e non di dimentichiamo che vi chiamate semplicemente O. Che idea si cela dietro quest’ermetismo?
Maurizio: Più che ermetismo penso che sia una ricerca dell’essenza delle cose. Se abbiamo qualcosa da dire, tanto vale dirlo senza essere ridondanti ma essendo diretti, chiari e, per quanto possibile, “puri”. È un nostro modo di fare che credo non ci scolleremo mai di dosso, a partire dal nome così estremo e minimo.
Pietra è uscito in vinile, Antropocene in digitale. A cosa è dovuta questa scelta? Avete intenzione di stampare anche copie fisiche?
Maurizio: È stata una scelta molto “di pancia”, avevamo pronto un disco e abbiamo deciso di buttarlo fuori gratis, per tutti. Senza grandi clamori e pubblicità da “big band” ma con il grande supporto di chi ha sempre seguito negli anni. Il fatto che fossimo in piena emergenza Covid-19 non ha fatto che rafforzare la nostra idea di uscire con urgenza ed in un modo facilmente fruibile da tutti, in digitale appunto. Persone da tutto il mondo ci hanno fatto una donazione e non è escluso che prima o poi Antropocene veda la luce in vinile.
Rigiriamo a voi una domanda posta tempo fa ai vostri corregionali Noise Trail Immersion – il cui batterista Paolo, ricordiamo, si è unito a voi qualche mese fa. Pensiamo a loro ma anche ad Haram, Infall, Carmona Retusa, Treehorn, The Turin Horse, Dogs For Breakfast e abbiamo idea di una scena piemontese piuttosto florida. Voi come la vivete?
Maurizio: È verissimo che la scena piemontese è piuttosto florida, oltre alle ottime band attuali ricordo anche che qui a Biella sono nate alcune band storiche e conosciute in tutto il mondo come Opera IX per quanto riguarda il black metal e Indigesti per quanto riguarda l’hardcore. Conosciamo benissimo tutte le band che hai citato e con la maggior parte siamo amici ed è sempre una festa incontrarsi ai concerti!
Oltre all’ingresso di Paolo, avete di recente annunciato la dipartita del chitarrista Nico, sostituito da Gabriele. Come state riformulando la band? Che aspetto avranno gli O del futuro, sia fisico che concettuale?
Samuele: Guarda, Nico in verità se ne andò quattro anni fa e decidemmo di proseguire senza una chitarra, scelta che si rivelò comunque azzeccata e che aiutò il sound a venire fuori ancora più aggressivo. Edoardo invece se ne andò all’improvviso, sorprendendoci tutti e lasciandoci in una situazione non facile. Fortunatamente, in tempo zero, il nostro nuovo batterista Paolo propose questo suo amico, Gabriele, di cui ci parlò benissimo come sostituto. Siamo molto molto soddisfatti di come si sia ottimamente inserito e non vediamo l’ora di farlo esplodere dal vivo. È giovane, capace e pieno di talento, stiamo già scrivendo roba nuova e non possiamo che essere contenti!!
Quest’intervista si sta svolgendo in un periodo incerto come quello della post-quarantena. Che effetti pensate potrà avere questa situazione tremenda sulla musica underground?
Samuele: Sono una delle tante vittime di questa situazione e mi trovo in un momento davvero misero. Tiro avanti con tenacia perché penso che ci siano persone molto più sfortunate e grazie agli dei godo di ottima salute e sono una persona resistente. Ma tanti saranno a cadere. Locali, privati, etichette, ristoranti, tante persone oneste hanno perso o stanno perdendo somme ingenti di denaro e le loro attività stanno andando a farsi fottere a causa di questo casino, mettici anche che gli esseri umani moderni sono viziati e capricciosi e dunque poco intelligenti e potrai capire che non sono molto ottimista sul futuro, anche se vorrei molto essere contraddetto.
L’intervista è finita, salutate i nostri lettori segnalando ciò che ronza ultimamente tra i vostri ascolti.
Samuele: Oh ne ronzano di cose sai… Sto innamorandomi della musica classica. Dunque ti dico Chopin, Bela Bartok, Philip Glass. Ma anche The Doors, Swans, Joy Division, i miei amori di gioventù Marduk, Behemoth e Slayer. Passando senza vergognarmi dalla techno goa a cose dirette e senza fronzoli come i Wolfbrigade e gli Impaled Nazarene.
Maurizio: Tralasciando cose più leggere ultimamente ho rispolverato: Thou, Wolfbrigade, Bölzer, Inter Arma, Wiegedood e Yob. Grazie per la bella intervista, seguiamo da sempre GOTR e per noi è un piacere tornare su queste pagine dopo anni!