Una nicchia pochissimo frequentata dove il luogo comune che vede quantità e qualità in rapporto di inversa proporzionalità celebra uno dei suoi trionfi più evidenti. Potremmo sommariamente descriverlo così il microcosmo doom con cantato femminile, caratterizzato da sempre da stelle luminosissime che abbagliano cieli (purtroppo) sostanzialmente sguarniti ed è dunque con più che giustificata emozione che accogliamo la notizia che gas e polveri della nebulosa doom sono riuscite a condensarsi dando vita a un nuovo progetto.
Stiamo parlando degli statunitensi Haurun, che, con questo Wilting Within, debuttano sulle lunghe distanze di un full length sfoderando subito credenziali importanti per iscriversi a pieno diritto nel ristretto club delle eccellenze di una scena che, pur declinandola ovviamente in forme e dosaggi differenti, ha sempre rivendicato la centralità della lezione sabbathiana come motore e cuore pulsante dei diversi percorsi intrapresi. All’interno di un simile perimetro i cimenti dei vari moniker hanno lasciato tracce importanti e in molti casi indelebili, a partire dalle rotte stoner alla Acid King o dei primi Alunah a guida Sophie Day, passando per i riflessi prog/folk di scuola Blood Ceremony o per il cantautorato d’autore di Carline Van Roos al timone del vascello Lethian Dreams, per finire con le trame oscure con vista sludge e post- di marca Subrosa. A conferire una sorta di fil rouge a esperienze stilisticamente così ad ampio spettro provvede quasi sempre un cantato dai riflessi esoterico/cerimoniali, che trova forse la sua declinazione più pura nelle monumentali prove al microfono di Sera Timms, somma affrescatrice di oscurità e gran sacerdotessa alle prese con possibili percorsi iniziatici e di ascesi soprattutto nell’esperienza Black Mare. Per trovare (e meritarsi) un posto in un salotto così sontuosamente apparecchiato, gli Haurun scelgono innanzitutto un approccio al doom quanto mai essenziale e senza orpelli, recuperando le radici settantiane del genere e avvolgendole in una delicata patina psych senza per questo scadere in anacronistiche devozioni fuori tempo massimo o in una stucchevole caccia al vintage da cassetta. Il risultato è un album dalle architetture tutto sommato semplici e lineari, su cui il quintetto lavora da un lato di cesello incastonando riff ora polverosi, ora trasognati e dall’altro concentrando l’attenzione su una sezione ritmica che, restando lontana da suggestioni claustrofobiche o anche solo oppressive, scandisce impeccabilmente i tempi del viaggio con un incedere cadenzato che alterna impeccabilmente lentezza e potenza. Ma, al di là della capacità di combinare ingredienti sempre scelti con cura e mai buttati a caso in un calderone confidando in qualche reazione chimica, il vero asso nella manica del platter è un’atmosfera sospesa tra mistero e abbandoni lisergici, che invitano all’assaggio promettendo un fluttuare in dimensioni parallele piuttosto che lo sprofondamento in abissi di sgomento e disperazione. Non ci sono, quindi, monoliti neri che incombono secondo i classici dettami della scuola scandinava ma, sull’altro piatto della bilancia, non aspettiamoci nemmeno una scampagnata spensierata e solare in territori in cui risuonino senza impegno gli echi di gloriose epopee dei tempi antichi; la verità è che Wilting Within è soprattutto un album di delicati chiaroscuri e malinconie che si arrestano pochi passi prima della “crepuscolarità”, non spegnendo mai davvero la luce ma giocando coi colori riducendone brillantezza e vivacità. Al centro della scena, prevedibilmente, svetta la prova al microfono di Lyra Cruz, che a un primo impatto può destare qualche perplessità per un timbro vocale apparentemente monocorde, ma che si rivela presto in perfetta armonia con lo spirito etereo e contemporaneamente narrativo dell’album, accompagnandoci con raffinati tocchi poetici in un mondo dove sono le sfumature a fare la differenza. Sei tracce dalla durata mediamente sostenuta per un ascolto complessivo intorno ai quarantacinque minuti, Wilting Within gioca subito un carico importante con l’opener “Abyss”, che riveste alla perfezione i panni del manifesto artistico della band intrecciando una trama ipnotica su cui lady Cruz disegna per larghi tratti magici arabeschi prima di un finale appena più muscolarmente movimentato, ma per farsi un’idea davvero completa delle potenzialità dei Nostri è bene riservare la dovuta attenzione ai due successivi brani in scaletta, ideali capi opposti di uno spettro che, da un lato, accumula tensione per scaricarla psichedelicamente in un assolo di scuola seventies da applausi (“Lost & Found”) e, dall’altro, brucia incensi e vapori vagamente orientaleggianti su altari che celebrano un rito arcano che si perde nella notte dei tempi (“Tension”). È in questa traccia che l’ombra di Sera Timms sembra affacciarsi più convintamente tra i solchi e chi ne ha sempre apprezzato la carica quasi liturgica non faticherà a trovare punti di più che fecondo contatto, con la conseguente, inevitabile (e autorevolissima) candidatura del brano a best of dell’intero lotto. La macchina del tempo si accende invece nella successiva “Flying Low”, che solleva granelli di sabbia stoner facendoli prima volteggiare e poi roteare freneticamente su un accattivante strappo blueseggiante di sei corde, mentre tocca alle spire notturne di “Lunar” rallentare inizialmente il ritmo per poi proiettare sullo schermo visioni dal retrogusto space. Il taglio cinematografico/narrativo è la chiave di volta anche dell’ultimo atto, “Soil”, pezzo apparentemente impegnativo considerata la durata superiore agli undici minuti, ma gli Haurun dimostrano ancora una volta di non temere i cimenti arditi, mettendo in campo in apertura e chiusura una rassicurante vena quasi descrittiva e paesaggistica e racchiudendo all’interno il cuore più acido del platter, capace di azzardare con gran costrutto una cavalcata finanche sfrenata in puro spirito hard rock.
Un esordio sontuoso, un’opera prima capace di saltare a piè pari il canonico periodo di apprendistato per sfoderare direttamente dosi significative di maturità e personalità, Wilting Within è un album che sfida con successo le oggettive difficoltà di un genere in cui non a caso solo poche band hanno il coraggio di avventurarsi. Buona, buonissima la prima, gli Haurun hanno messo una base importante e significativa su cui costruire cattedrali ancora più coraggiose.
(Small Stone Records, Kozmic Artifactz, 2023)
1. Abyss
2. Lost & Found
3. Tension
4. Flying Low
5. Lunar
6. Soil