Ho sempre avuto – soprattutto in passato – una sorta di pregiudizio verso i progetti collaterali, non nascondo di aver molto spesso faticato nel momento dell’approccio, finendo per considerarli spesso come un qualcosa che avesse ben poco da aggiungere a quelle che sono le dinamiche dei singoli membri. Non a caso mostro da sempre ritrosia verso termini quali “supergruppo” e altre amenità del genere. Ne conseguiva quindi che l’idea che mi stessi trovando di fronte a poco più che un riempitivo autoerotico per musicisti annoiati. Negli anni mi sono però dovuto – almeno in parte – ricredere, grazie a progetti che, come i Baratro, di cui parliamo oggi, hanno minato le mie (allora) ferree convinzioni.
Il trio arriva oggi al primo album, a distanza di poco più di tre anni da Terms and conditions, il loro EP di debutto. Quanto di buono avevamo già colto allora viene puntualmente confermato da The Sweet Smell of Unrest, uscito da pochissime settimane per Improved Sequence Records. Il disco infatti riprende, e amplia ulteriormente, il discorso aperto con l’EP, mostrando una band che riesce a disimpegnarsi egregiamente nel tentativo di andare a trovare tutte quelle soluzioni che possano evidenziare le proprie qualità tecnico compositive. Quanto i Baratro riescono a porre in atto ci porta a pensare come le scelte stilistiche non possano non guardare ad un approccio che sia al tempo stesso di impatto e di ricerca, cercando al tempo stesso di mantenere una linea quanto più “melodica” possibile.
La line-up è la stessa dell’EP, e la liaison tra Dave Curran (Unsane), Federico Bonuccelli (Council of Rats) e Luca Antonozzi (Marnero), è a nostro avviso il collante che permette alla band di esaltarsi mostrando un’unità di intenti, figlia di un rodaggio costante e continuo, ma soprattutto affiatato, che guarda alla consolidazione del proprio sound come alla necessità primaria. Un trio che mostra un’attitudine figlia di una dimensione sonora libera da compromessi estetici, da orpelli, e che guarda al sodo, andando a colpire duramente e incessantemente. The Sweet Smell of Unrest, oltre a quanto detto, sottolinea come la ricerca di un groove costante che possa tenere sempre l’ascoltatore “sul pezzo”, finisca per essere la fonte di quell’insieme eterogeneo che permette al disco di mantenere una propria indiscutibile uniformità di fondo, perfettamente riconoscibile.
(Improved Sequence Records, 2024)
1. Fight the Parking Meter
2. Pay Dirt
3. The Bad, the Bad, and the Ugly
4. Don’t look at me, I’m Hideous
5. Adherence
6. It’s all your fault, Timmy
7. Pope of Dope
8. Nervous Wreck
9. Grotesque
10. Simp
11. Glutton