È stupefacente constatare come gli Swans siano riusciti a creare un altro pezzo da 90 nel giro di così poco tempo. Ha dell’immondo tutto questo, dell’innaturale, sembra il figlio di un patto col diavolo che noi non potremo mai comprendere. The Glowing Man è il capitolo conclusivo del nuovo corso della creatura multiforme di Michael Gira in una delle sue formazioni più ispirate. Ed è anche il capitolo più complesso da eviscerare, per molti motivi. Il pioniere degli Swans è stato il primo a capire che evidentemente non c’è più nulla da dire dopo dei monoliti sonici come The Seer (2012) e To Be Kind (2014), e conclude questo viaggio esplorando la parte più orchestrale, polifonica e strutturata dell’ossessività musicale che ha creato in questi ultimi anni. Se The Seer è il lato più bestiale e liturgico di questo nuovo corso, e se To Be Kind ne rappresenta il lato più catchy e “immediato”, The Glowing Man invece si mostra come una creatura inaccessibile fin dai primi ascolti. Uno stormo implacabile che si muove in un ambiente in cui la trance e l’etere dissonante la fanno da padrona. L’estrema omogeneità delle tracce rende l’ascolto di non facile assimilazione, facendo confluire le soluzioni in un flusso di assonanze alquanto opulente – in senso buono – e apocalittiche. Fin qui nulla di nuovo, verrebbe da dire. Ma gli arrangiamenti appaiono quanto mai pomposi: The Glowing Man sembra – con abuso di notazione – l’album più prog degli Swans e questo giustifica ancor di più un parallelo scomodo tra Gira e un altro one man band come Robert Fripp, che smonta e rimonta la sua creatura a proprio compiacimento. Non solo, The Glowing Man è al contempo l’antitesi del prog: ne prende gli elementi più simbolici per ridicolizzarli e distruggerli, convertendoli in un calderone di esoterismo dissacrante. Occorre del tempo per ascoltare a fondo queste due ore di musica, e non possiamo far altro che consigliare di ritagliarsi un momento della giornata da dedicare a questo lavoro. Centellinare l’ascolto sembra anche inevitabile, ma solo tramite un ascolto continuo può venir fuori quanto sia distruttivo questo disco. Una vera e propria catalessi musicale.
Come loro consuetudine, l’uso disinvolto dei più svariati strumenti musicali costituisce la peculiarità principale degli ultimi Swans, i quali usano fiati, trombe, campane, steel guitars, mellotron e qualunque altra diavoleria per ricreare il climax cacofonico loro marchio di fabbrica. A questo proposito è cruciale l’importanza del membro nascosto Bill Rieflin. Ma la novità principale questa volta è rappresentata dall’uso della voce, mai così stratificata e incrociata polifonicamente. La voce così strutturata in The Glowing Man rappresenta lo strumento che aggiunge la dose principale di disorientamento ieratico ed è in primo piano assoluto, grazie anche ai giochi melodici-cantilenanti fatti da Gira assieme a sua moglie Jennifer. La voce di Gira ha sempre assunto connotati liturgici, e non si tratta certo di un elemento completamente nuovo. Ma in questo caso è la cura dei dettagli che la fa da padrone. Basti ascoltare tracce come “Cloud of Unknowing”, “Frankie M” o la title track, le quali elevano allo status di elemento centrale la dimensione vocale, tramutandola in vero regista dei vari momenti in cui i lunghi brani si districano. La cantilena diviene l’elemento principale che distacca la percezione di noi stessi, facendola naufragare nel nulla e rendendo The Glowing Man una vera e propria esperienza mistica sfiancante. Perché The Glowing Man sfinisce, rappresenta l’apologia della stanchezza, il fallimento di alcuni ideali che Gira e compagni si sono portati dietro per anni. Sembra quasi che gli Swans rifiutino il ruolo di sacerdoti sonici spesso affibbiatogli. Giocano con l’ascoltatore, portandolo in un’altra dimensione attraverso la sacralità, ma poi lo abbandonano nel vuoto più desolante, facendogli credere che tutto questo sia fine a sé stesso. Qualcosa di simile a un’emozione provata da tutti – si spera – una volta nella vita. È l’amore la forza che muove le fila del combo, come dichiarato da Gira stesso. Ma è l’amore nella sua configurazione più becera, dismembrante, che lascia logori e malconci. È un amore psicotico tra i membri degli Swans, e in qualche modo un amore sperimentalmente condiviso con il pubblico in ascolto, in un flusso di catarsi epurativa. In questa direzione si muovono tracce come “Cloud of Forgetting”, “The World Looks Red/The World Looks Black”, “When Will I Return?” e “People Like Us”, tra minimalismi folk lo-fi e sofferenza stratificata da muri pastorali di musica inquietante. Da questo punto di vista “Finally, Peace” appare come una vera e propria liberazione in cui la redenzione è completamente assente.
Non si può rimanere indifferenti a dei musicisti che riescono a dirigere e triangolare le proprie intenzioni con tale maestria. Manca l’effetto sorpresa e alcune soluzioni sembrano anche già sentite, ma – diamine! – se lo possono anche permettere. E gli Swans ben sanno quello che stanno facendo e sanno che alcune strade sono già state esplorate, mostrandone, ancora, il lato più distruttivo e sfinito. Gli Swans sanno che non ti stanno portando da nessuna parte perché è lì che vogliono abbandonarci. Non è manierismo, è chiara dichiarazione d’intenti. The Glowing Man è la fine, un testamento. Il nostro testamento abbagliante come l’oscurità delle nostre emozioni. In attesa della prossima reincarnazione.
(Young God Records, 2016)
01. Cloud of Forgetting
02. Cloud of Unknowing
03. The World Looks Red / The World Looks Black
04. People Like Us
05. Frankie M
06. When Will I Return?
07. The Glowing Man
08. Finally, Peace