Il primo EP dei romani Onryō, uscito per la Everlasting Spew, è in qualche modo legato tematicamente a filo doppio con il folklore e la demonologia giapponese. Non un concept, ché pur sempre di EP si sta parlando, ma giusto dei richiami che aiutano ad immergersi nel loro universo estetico. A iniziare dal moniker, Onryō, il nome dato a quei fantasmi che, incazzati neri per come gli erano andate le cose della vita, tornano nel nostro mondo alla ricerca di una vendetta furiosa, irrazionale, ndò coglio coglio. Il che ben si sposa con una certa propensione impazzita e mathcore della band. Poi c’è il titolo del lavoro, Mutō, che immagino faccia capo all’acronimo per Massive Unidentified Terrestrial Organism con cui venivano chiamati dei Kaiju in Gojira. Massivo sì, possente e distruttivo, ma dalle forme imprendibili e teratologiche. Come l’EP in causa. E ancora un artwork, con un logo direttamente in kanji, che riproduce una sorta di frattale di squame di drago. Nè, qui, è del tutto un caso che quando si parla di frattali in musica vengono in mente i Meshuggah e tutta quella matematica da djent. Infine, e questo ci dà il la per addentrarci nella descrizione del lavoro, l’ultimo indizio è sicuramente il titolo del singolo estratto, “Oni”, che è il nome dei famosissimi demoni orchi del folklore nipponico.
É proprio “Oni” , il pezzo più breve del lotto, che apre Mutō con un attacco che coniuga la forza e la serratezza del death con del grind dal vago sapore cyber, quello dei Genghis Tron, giusto per fare un paragone. Seguono poi degli squassoni mathcore, tanto a livello strutturale, quanto in alcune chitarre che ricordano quelle spericolate degli Psyopus o dei See You Next Tuesday. L’incipit di “The Pyromaniac – Anarchogrind” potrebbe persino ricordare la distopia luddista dei Fear Factory, a causa di quella batteria non umana – è doveroso ricordare che alle pelli siede Giulio Galati (Hideous Divinity, Nero di Marte) – e dei synth che rendono il tutto glaciale, anestetico e postumano. Ovviamente non è un pezzo dei Fear Factory, per via di una grammatica imprevedibile e una struttura contorta e proteiforme, anarchica, appunto, come suggerisce lo stesso titolo del brano. Allo stesso modo di come il titolo della successiva “Humanphobia” riprende bene le sfaccettature mutanti e postumane della loro musica. Qui del technical death è spezzato da quadrature djenteggianti che sono delle pedate alla spina dorsale, mentre la trama fitta viene squarciata da aperture agghiaccianti. Chiude il lavoro “Sickness and Aluminium Foil Helmets” in cui sembra di sentire, vuoi per quel sax che strania, vuoi per una voce più aperta, la lezione dei Dillinger Escape Plan, ma possiede pure una chiusura di spietato groove death oriented.
La proposta decisamente estrema, unita all’imperscrutabilità delle loro forme, forse potrebbe atterrire gli ascoltatori meno adusi a queste proposte, ma l’esigua durata del lavoro, che in sè potrebbe essere una nota dolente, rende Mutō un lavoro agile, una fantasmatica scarica di adrenalina, espugnabile e di non impossibile fruibilità. Mutō è un labirinto di forme e generi – la cui collisione continua ne assicura, non già del caos scomposto, ma tanta entropia -, uno scenario strabordante di particolari. È un lavoro da cui erompe un nutritissimo bagaglio di ricordi (musicali) ma che vive, disperato e folle, alle soglie di un mondo post-apocalittico, quasi stesse con un piede in quella specie di purgatorio in cui dimorano gli onryo giapponesi e con l’altro nel mondo postnucleare di Godzilla. Non celebriamolo però come un punto d’arrivo, ma giusto come la posa inaugurale della pietra angolare su cui gli Onryō dovranno essere bravi a costruire il loro personale edificio.
(Everlasting Spew Records, 2017)
1. Oni
2. The Pyromaniac – Anarchogrind
3. Humanphobia
4. Sickness and Aluminium Foil Helmets7.5