Si parla spesso, e a sproposito, di neofolk. E lo si fa guardando all’estero, soprattutto al nord Europa, come se si trattasse di una prerogativa solo quei luoghi, legata a un certo tipo di mitologia. Noi però siamo italiani, che ci piaccia o meno, che abbia ancora un significato o meno. Viviamo nell’estremo sud di un continente che non è mai stato tale, e che, come sapete, mi piace inquadrare come la propaggine più a nord dell’Africa. Quel lembo di Europa che è già Africa, la culla di culture affascinanti che hanno scritto la storia del mondo. È qui, dove ritmi e tradizioni tra due continenti si sovrappongono, che troviamo il neofolk per quella che è la nostra accezione. Un album come FURÈSTA se pubblicato da una qualunque realtà scandinava avrebbe fatto gridare al miracolo, e ora saremmo tutti quanti presi dalla corsa a chi si accaparra la versione più cool, quella col vinile più colorato possibile. E invece siamo a Napoli, in Campania, e non ci sono gli Elfi ma i bambini di Scampia che fanno le vedette per la Camorra sui tetti dei palazzi.
La Niña ha scelto per il suo album un linguaggio sonoro dai forti richiami alla tradizione, che guarda alla musica popolare, muovendosi tra sacro e profano, in mezzo a tutte le contraddizioni di una terra che proprio nella dicotomia tra bene e male, e ai suoi limiti sempre più labili, nasce cresce e si sviluppa. Un caleidoscopio di suoni e di colori che però è anche messaggio sociale. Quello del disco è un linguaggio duro, che vuole fare breccia nell’aridità del cuore di uccide la speranza, e che cerca di salvaguardare e di rivendicare il ruolo delle donne, ancorate a stereotipi apparentemente eterni. FURÈSTA è un album di grande calore, che, letteralmente, ci scalda il sangue nelle vene, attraverso sonorità stratificate e mutanti, ma sempre coerenti a quella scelta iniziale di non distaccarsi troppo dalla musica popolare napoletana, coniugandola però in un contesto moderno. Inutile sottolineare come la scelta del napoletano sia da inquadrare come la migliore possibile, anche se l’auspicio, per il futuro, è quello di avere sempre una maggiore contaminazione con le lingue arabe, assolutamente affini da un punto di vista fonetico.
La Niña, fieramente ancorata alle sue radici, canta Napoli con occhio critico. La ama ma non la perdona per aver ceduto l’anima al diavolo consumista. La sprona e la disillude. E al tempo stesso si rivolge a noi, chiedendoci quel risveglio che, dopo anni di sopore, e di regressione culturale, non è più procrastinabile. Un grido, il suo, che non deve restare inascoltato.
(BMG, 2025)
1. GUAPPARÌA
2. ‘O BALLO D’ ‘E ‘MPENNATE
3. AHI!
4. OINÈ
5. TREMM’ (feat. KUKII)
6. CHIENA ‘E SCIPPE
7. MAMMAMA’
8. FIGLIA D’ ‘A TEMPESTA
9. SANGHE (feat. Abdullah Miniawy)
10. PICA PICA