“Tra le rovine di un mondo divorato da se stesso, all’uomo non resta che il suo spirito”. Non avrebbero potuto scegliere parole più profetiche, nette e immediate, i Caronte, per annunciare il rientro sulle scene in formato full length, a sei anni di distanza da quel Wolves of Thelema che ha segnato un punto di snodo fondamentale nella carriera del combo di Parma. Partiti da prospettive doom dalle significative venature occult pronte a esalare vapori densi e stranianti, in quell’occasione i Nostri avevano parzialmente stupito la platea dei devoti della prima ora, puntando su consistenti contaminazioni hard rock e alzando contemporaneamente il tasso di fruibilità dell’insieme. Al di là dell’impatto iniziale (chi scrive, avendoli incontrati e apprezzati a partire dallo split con i Doomraiser del 2013, deve confessare un discreto smarrimento, peraltro abbondantemente diradato da una seconda metà di tracklist decisamente convincente), l’impressione è stata quella di un percorso potenzialmente intrigante ma irto del pari di insidie, a cominciare da eventuali derive troppo easy listening, ma, fortunatamente, la risposta che arriva con questo Spiritus taglia alla radice qualsiasi nodo gordiano, al punto da poter distillare in premessa il giudizio con un abusato ma comunque sempre efficace commento: chapeau!
Il consiglio preliminare che ci sentiamo senz’altro di offrire a chi si appresti ad affrontare l’album è di abbandonare qualunque tentazione di inforcare lenti di ingrandimento e brandire bilancini alla minuziosa ricerca di quanto i Caronte siano “cambiati” rispetto agli esordi e di lasciarsi invece trascinare da un travolgente flusso narrativo che innerva e impreziosisce praticamente ogni singolo episodio. Mantenendo una visione d’insieme, non si tarderà a riconoscere che la dimensione oscura e sciamanica è in realtà tutt’altro che scomparsa (o, peggio, tradita), risultando piuttosto oggetto di un processo di rielaborazione e affinamento da cui riemerge indubbiamente levigata ma anche ulteriormente arricchita, complice un intelligente ricorso alle tastiere e all’indubbia marcia in più offerta dalla seconda sei corde. Tra coriandoli gothic, qualche voluttuoso rintocco darkwave e l’ombra nobile dei Fields Of The Nephilim che si affaccia qua e là dietro il sipario, il quintetto ribadisce l’immutata collocazione di occultismo ed esoterismo tra i temi centrali della propria poetica, con la figura e gli scritti di Aleister Crowley sempre al centro del progetto. Detto di un significativo arretramento delle suggestioni stoner, gli elementi di novità più rilevanti vengono dall’approccio alla materia doom, ormai indissolubilmente intrecciata alla componente hard rock, con pesantezza e lentezza che solo raramente diventano cifra stilistica esclusiva o anche solo caratteristica, a tutto vantaggio di andature cadenzate che si spingono ai confini della solennità declamatoria, con Henry Bones e Mike De Chirico a presidiare impeccabilmente la sezione ritmica (esitiamo a utilizzare l’etichetta “epic”, ma più di qualche passaggio ne rivela molti tratti, sia pur mediata dal filtro Candlemass). In un siffatto habitat, non stupisce che Dorian Bones sfoderi la migliore prestazione vocale dell’intera discografia, gran maestro di cerimonie con il suo clean teatralizzato e appuntito quanto basta per sostenere e non strappare mai le trame melodiche meravigliosamente annodate dalle chitarre della coppia d’assi Tony Bones/Gianmarco Asher Rossi. Sette tracce per poco meno di quaranta minuti di ascolto complessivo, Spiritus si apre con l’episodio forse a conti fatti meno convincente della compagnia, “Scarlet Love”, che, pur schierando sul piatto tutti gli ingredienti giusti, riesce solo parzialmente a insaporirli, finendo per scontare un’eccessiva vicinanza agli stilemi sabbathiani con un riff conclusivo che, caso praticamente unico, incendia solo in parte la miccia. Siamo comunque al cospetto di una partenza tutt’altro che falsa e a sedare immediatamente i dubbi provvede la magnifica “Aiwass Calling”, titolare di un ritornello a sfondo mistico che riconcilia con la forma-canzone generando assuefazione e compulsivi ricorsi al tasto (re)PLAY, mentre la successiva “Sagittarius Supernovae” irrobustisce il tono muscolare dimostrando che anche gli assalti sonori sono del tutto nelle corde della band. Neanche il tempo di riprendere fiato e si scatena subito un’altra tempesta devastante, “Antikristos”, anthem prevedibilmente destinato a trascinare astanti e fedeli in sabba scatenati sotto i palchi in sede di resa live. I giri motore rallentano parzialmente grazie a “Beyond Daath”, ma, se è pur vero che l’avvio e il finale del brano disegnano atmosfere quasi ieratiche (e Dorian Bones modula il tono su frequenze da narratore/predicatore), non manca un corpo centrale che non rinuncia a scatti e velocità. Per un doom declinato in modo relativamente ortodosso bisogna attendere le spire sinuose e insidiose della tormentata “Fire Walk With Me”, ma, anche se la prua della traccia resta convintamente rivolta verso lidi oscuri e minacciosi, l’assolo conclusivo è un gioiello di chiara ascendenza blues affacciato su balconi classic heavy. La chiusura del viaggio è una sorta di contraltare all’opener, ma se, come detto, in quell’occasione ci è sembrato di scorgere qualche ombra, qui invece fila tutto liscio, con un’andatura rock che sconfina in lande gothic e l’accoppiata ritornello/riff che non ha bisogno di effetti speciali per raggiungere il centro del bersaglio.
Nuove prospettive che si innestano su un canovaccio sonoro consolidato senza stravolgerlo ma, anzi, valorizzandone ulteriormente le potenzialità, nuovi riflessi oscuri chiamati a convegno ad arricchire una proposta che tiene alto il vessillo della fruibilità senza indulgere mai a derive catchy fini a se stesse, Spiritus è un album pronto a conquistare sul campo i galloni di best of di una discografia che meriterebbe riflettori accesi con ben altra continuità e luminosità. Qualcuno probabilmente dirà che i Caronte vanno ascoltati e sostenuti perché “sono italiani e bisogna sempre supportare la scena tricolore”, noi restiamo fieramente arroccati nella cittadella del gusto senza confini come unico arbitro e li consigliamo per una considerazione tanto elementare quanto immediata: sono bravi, molto, molto, molto bravi.
(Ván Records, 2025)
1. Scarlet Love
2 Aiwass Calling
3. Sagittarius Supernovae
4. Antikristos
5. Beyond Daath
6. Fire Walk With Me
7. Interstellar Snakes of Gold