Dopo la scoperta del fuoco e l’invenzione della ruota, la creazione del grindcore (scritto tutto attaccato) è sicuramente un passo importante nella tortuosa strada evolutiva dell’Uomo. Come ho già scritto precedentemente in altre recensioni, quando fatto per bene, il grindcore riesce ad esprimere in pochi minuti quello che altri gruppi riuscirebbero a descrivere, forse, con un’intera discografia. Ed eccoci dunque qua, a parlare di un gran bel disco di sano grindcore, che in meno di 15 minuti spazza via tutto. La ricca scena grindcore australiana oggi ci propone dei veri e propri veterani del genere, i Meth Leppard. Il duo proveniente da Adelaide è infatti all’attivo da dieci anni, e durante questo periodo, tra split, EP, singoli, live, et similia, ha all’attivo ben 17 (diciassette!) pubblicazioni, ed il loro ultimo pargolo si chiama Gatekeepers (titolo importante, tra l’altro).
Come è giusto e doveroso, Gatekeepers dura solo 14 minuti, e in questo ridottissimo tempo i Nostri riescono a proporci una perfetta istantanea di quello che è il grindcore nel 2025, ma rimanendo anche con i piedi per terra senza per forza diluire la ferocia del genere con inutili divagazioni… Suonato e prodotto molto bene, in Gatekeepers si sente infatti molto l’influenza di band seminali che hanno forgiato il genere, come ad esempio i Brutal Truth, ma anche quella di carne -macellata, ovviamente – più fresca, come ad esempio i Wormrot. Per come le canzoni sono composte e strutturate, ma anche per come i brani vengono cantati, mi sembra proprio che i Meth Leppard abbiano deciso di cercare l’ispirazione non solo nel grindcore classico, ma anche in certe cose provenienti dalla scena del powerviolence (quanto mi piace sto termine), ed infatti mi ricordano da vicino certe cose dei Nails e POOR, giusto per citarne un paio. E se questo non vi basta, aggiungeteci pure un sano pizzico di ironia e capacità di non prendersi troppo sul serio che i Nostri sanno dare all’album (leggere i titoli delle canzoni per credere). In Gatekeepers, i Meth Leppard di certo non hanno paura di sperimentare, e nonostante il disco sia sparato ai mille all’ora, sanno dimostrare di essere in grado di levare il piede dall’acceleratore, rallentare un pochino, e mostrare al mondo interessanti sezioni midtempo e parti più cadenzate, ma di certo non meno efferate, che alla fine riescono a convincere. I dieci brani che compongono l’album sono dieci calci nelle palle che vi terranno su di giri e su di morale per il resto della giornata. L’album dovrebbe essere ascoltato tutto di fila e senza saltare nemmeno un brano, a partire l’apripista “Gatekeepers”, fino all’ultima, lunghissima, “Idiocracy” (ben 2 minuti e 5 secondi di canzone…).
Mi rendo conto che questa recensione sta diventando più lunga del disco stesso, quindi concludo qua: procuratevi Gatekeepers (tra l’altro, ho scoperto che può essere anche ordinato in versione fisica, se siete dei maniaci di ste cose come il sottoscritto), sicuramente uno dei migliori dischi grindcore del 2025. In Grind We Trust.
(Autoproduzione, 2025)
1. Gatekeepers
2. Algorithm & Blues
3. Oligarchy Bukkake
4. Deeds Of Fleshlight
5. HPV Lovecraft
6. Mind-Ctrl-Alt-Delete
7. D-Fens
8. Pay To Play
9. Snake Oil Salesman
10. Idiocracy