Quando si parla di cantautorato italiano si tende – forse troppo spesso – a sottovalutarne impatto e importanza. E puntualmente, così facendo, si sbaglia. Nettamente. C’è una sorta di snobismo ideologico, che ci fa credere di poterci porre su di un piedistallo da cui guardare dall’alto in basso il cantautorato, forti di un’imprecisata nobiltà, che, nella realtà dei fatti, non esiste, e forse, anzi, molto probabilmente, non è mai esistita. Per fortuna, in questo travagliato 2025, escono dischi come questo degli WOW che ci permettono di contestualizzare il tutto, e rivedere, non solo le nostre posizioni, ma di capire quanto (ci) stessimo sbagliando. Rosa di Luce, recentemente pubblicato dalla sempre più spiazzante Maple Death Records, ci aiuta quindi a capire quanto dobbiamo, storicamente, e culturalmente – oggi più di ieri – a quel movimento che la stragrande maggioranza di chi legge queste nostre pagine continua a guardare con distacco e superiorità.
Questo del duo romano è un album molto personale che guarda ad un percorso di ricerca (interiore), e che avvicina, in un momento storico come questo in cui si tende ad una conoscenza, una frequentazione e un’interazione quasi esclusivamente virtuali (proprio perché molto più “comode”). Un disco che ci porta a capire come sia davvero giunto il momento di ricominciare a toccarci, per davvero, e a emozionarci, meglio ancora se insieme, in modo che la luce di cui si fa menzione nel titolo, possa davvero essere quel faro in grado di indicarci la direzione. Sono tempi bui questi nostri, a cui ci siamo abituati forse troppo presto e troppo indolentemente. Perché non guardare dunque a Rosa di Luce come a un’opera in grado di farci ricalibrare le priorità? Le premesse ci sono tutte.
Entrando più nel dettaglio, non nascondiamo di avere un debole, e di considerare Rosa di Luce un disco elegante, che, se da un lato permette di riscoprire l’importanza, e il valore, di un momento storico della musica italiana liquidato frettolosamente, senza averne capito la profondità, dall’altro si mostra come un album delicato, che riesce ad accompagnare i nostri pensieri in maniera sublime e intimista. Senza eccessi, senza invadenze, senza citazionismi di maniera, ed esasperazioni di facciata. In altre parole, un disco sincero, malinconico e ispirato, che riporta alla mente ricordi che credevi di aver riposto talmente lontano che fatichi a ricontestualizzarli, e che avevi confuso coi sogni dei tuoi risvegli, quelli che ricordi per un istante ma poi accantoni, nel posto più lontano dal cuore. Un disco senza tempo, che viene dal passato, ma guarda al futuro, attraverso il presente. E spazza via l’aridità dell’aria che ci circonda, con una ventata di freschezza, ma senza fretta, un poco alla volta. Un disco minimalista che fa invece molto rumore. Spogliandosi di tutto quello che non serve per arrivare a dirci quello che ha in dote.
(Maple Death Records, 2025)
1. Rosa di Luce
2. Primavera
3. Le Montagne e Noi
4. La Radura
5. Creature Fragili
6. Samba e Amore
7. ƒ