
Basta meno di un minuto di ascolto del primo brano per capire immediatamente che siamo alle prese con uno di quei dischi che ci lasceranno addosso quella deprimente gioia di vivere paragonabile solo ai dolci momenti che svoltano le nostre giornate allorquando scorgiamo i necrologi dei nostri nemici. Detto questo risulta facile andare a lodare un album come Enter The Misanthropocene degli Abhorrent Expanse. Si tratta infatti di tutto quello di cui abbiamo bisogno per allontanare ogni parvenza di quella mediocre umanità che ci circonda, in altre parole, il disco ideale per escludere il resto del pianeta dai nostri pensieri. Restando sulla band, leggendo in giro i commenti, c’è una buona fetta di “intenditori” che li ha tacciati di eccessiva sperimentazione. Fermo restando che ogni critica (ragionata) è per noi sempre ben accetta, soprattutto quando riguarda noi stessi, crediamo che qui non si sia messo a fuoco l’elemento principale di una proposta come la loro. Quando si tratta di sperimentazione in ambito sonoro, la base di partenza è quella che non devono esistere limiti da non oltrepassare, in altre parole, se l’arte (e in questo caso la musica) deve essere provocatoria, o la è o non è arte. Stop. Subentrano, a cose fatte però, il gusto personale, il buon gusto e l’intelligenza nell’approcciare un album, ma andare a mettere dei paletti preventivamente, determinando che cosa di possa e che cosa non si possa fare resta inaccettabile.
Quello di Enter The Misanthropocene è un approccio stilisticamente orientato alla sana follia del free jazz, che qui arriva a creare un crossover che mescola estremismi sonori legati agli estremismi metal più disparati, andando a mettere in crisi ogni nostra precedente idea in ambito musicale non convenzionale. L’album riesce infatti a destrutturare il suono, triturandolo e ricomponendolo in una serie di sequenze che potrebbero apparire ai limiti della casualità, ma che di casuale non hanno nulla. C’è, come detto, della follia, ma si tratta di una follia che ha una sua logica, concettualmente condivisibile, che caratterizza il disco, dandogli quel caratteristico senso di fastidio che amiamo. Non si tratta quindi di un album per tutti, indiscriminatamente, ma, al netto del fatto che questo non è a nostro avviso un limite, tutti coloro che sentono insista la voglia, o la necessità, di andare in cerca di un alienazione che sia quanto più totalizzante possibile, troveranno in Enter The Misanthropocene un disco a cui dedicare tutte le loro attenzioni.
Un lavoro di dissonante avanguardia, che alcuni definiscono di nicchia. Affermazione che in parte troviamo azzeccata, al netto però del fatto che non si debba far coincidere l’idea della nicchia con la spocchia di tutti coloro che si autoproclamano appartenenti a un ristretto circolo che si pone al di sopra degli altri (ogni riferimento ad alcuni ambiti – anche nostrani – in cui si celebra il black metal credendosi portatori di un verbo che nella realtà non ha il minimo valore o riconoscimento logico esistenziale, non è per nulla casuale). Attenzione però a quando parliamo di free jazz, questo è l’ingrediente principe ma non pensiamo a un disco monocorde in cui il caos regna sovrano, le sfumature sono davvero molteplici, e non necessariamente vanno riferite all’impro jazzistica, c’è infatti tutta una serie di venature sonore di cui non vi anticipiamo nulla ma che sapranno sorprendervi. In estrema sintesi possiamo sentenziare come Enter The Misanthropocene sia un album che possiamo definire come “terrificante”, starà poi a voi decidere quale delle diverse accezioni del termine sposare.
(Amalgam, 2025)
1. Enter the Misanthropocene
2. Kairos
3. Praise for Chaos
4. Crystal Proliferation in Subharmonic Space
5. Waves of Graves
6. Assail the Density Matrix
7. Drenched Onyx
8. Nephilim Disinterred
9. Dissonant Aggressors
10. Ascension Symptom Acceleration
11. Prostrate Before Chthonic Devourment


