
La parola irlandese Rún ha una moltitudine di interpretazioni, che si sovrappongono e che spiazzano nel momento in cui si prova a trovare quella che possa essere la più idonea a rappresentare la complessità di un album come questo. L’unica certezza sta nel fatto che, tra le tante, non ne troviamo una, e una soltanto, che possa essere univocamente riconosciuta come tale. Per il resto, basta ascoltare Rún per rendersi conto di persona di cosa stiamo parlando. Se si tratti infatti di segreto, mistero o amore. Detto questo, passiamo alle certezze. Il trio irlandese ha realizzato un album di grandissima intensità emotiva che ha immediatamente suscitato notevole interesse a tutte le latitudini per la sua struttura stilistica. Siamo in questo caso, tutti concordi nel ritenerlo un disco che si caratterizza per una spiccata connotazione di stampo atmosferico, a tratti caldamente intimista, che cerca però di non perdere quel gusto per l’impatto complessivo.
Durante l’ascolto nell’aria si respira un’aria di contaminazione, che spazia in una moltitudine di sonorità, a tratti solo accennate, altre volte fortemente palesi, che associamo ad un’idea di avanguardia molto vicina al rumore, intendendo quest’ultimo termine nella sua migliore accezione possibile riferita al fastidio sonoro, lontana quindi da ogni sua interpretazione lessicale negativa. Anche concettualmente parlando l’album mostra un grande spessore, che emerge e si caratterizza grazie al legame con l’inquieta terra d’Irlanda, e con il suo popolo, da sempre legatissimo alle proprie tradizioni e al proprio territorio. Tornando all’ambito sonoro, Rún cerca di muoversi in tutte le direzioni, spaziando attraverso atmosfere rarefatte, legate dalla voglia di far uscire tutto il dolore che il trio sente dentro, e che non riesce più a trattenere. Il tutto sublimato da una scelta a livello di suoni (e di arrangiamenti) decisamente accattivante, che si allontana in modo immediato da tutto quello a cui il nostro cervello cerca di associarla nel momento in cui la percepisce. È come se i Rún volessero portarci verso una destinazione definita, ma, nel momento in cui stiamo per arrivare alla meta, cambiano idea, presentandoci immediatamente, nel brano che segue, un percorso alternativo differente, ma non meno intrigante. Un disco oscuro, per menti che hanno bisogno di sprofondare in un baratro apparentemente senza fine, in cui restare il tempo necessario per ricalibrare le priorità di un’esistenza dannata. Un disco che dà del tu al nero di questi nostri giorni attuali, in cui niente sembra avere importanza, tranne il superfluo. Un album visionario, e, proprio per questo, assolutamente da ascoltare. Un album sporco che si porta addosso la pesantezza dell’esistenza, e che suona a tratti davvero “selvatico”.
Questo dei Rún è un debutto ambizioso, come sanno essere solo i dischi che vivono di una consapevolezza che li porta a sfidare il mondo senza paura, fregandosene di tutto, ma, orgogliosamente fedele alla sua idea sonora, quella cioè che ha dato vita a un album che emana magia (cristallina) e ipnotizza. C’è davvero tanto dentro un lavoro di questa portata, e non è quindi possibile cercare di spiegare nemmeno la metà delle citazioni e delle sollecitazioni che arrivano durante l’ascolto. Ne consegue che parlarne senza cadere nella banalità risulta un’autentica impresa, anche perché le reazioni che arrivano a ognuno di noi sono troppo poco standardizzabili per essere anche in minima parte univoche, ennesimo segno che il disco mette davvero in difficoltà chi lo ascolta, cosa che è tutto tranne che un difetto, anzi, paradossalmente possiamo vederlo come uno dei più grandi complimenti che potremmo fare al lavoro del trio irlandese.
(Rocket Recordings, 2025)
1. Paidir Poball (Pupil)
2. Your Death My Body
3. Gutter Snipe
4. Terror Moon
5. Such Is The Kingdom
6. Strike It
7. Caoineadh


