Dopo la recensione dell’ultima fatica di casa Rat Lord, che spegne ormai la prima candelina, eccoci di nuovo, a distanza di un anno, a scrivere di un altro gruppo rock/punk norvegese. Questa volta i protagonisti sono i LÜT, band attiva da ben quindici anni ma che torna nel 2025 con un disco che, come il titolo omonimo lascia presagire, rappresenta un vero e proprio nuovo punto di partenza. Per orientarci, la bandierina targata LÜT è puntata su Kroken, quartiere della città di Tromsø, dove dal 2010 i Nostri suonano insieme sotto l’insegna dei The Wolves. Il nome gira rapidamente e, nel 2015, nasce ufficialmente il progetto LÜT. Negli anni successivi la crescita è costante, con due dischi – Pandion del 2017 e Mesmark del 2021 – con i quali il gruppo raggiunge una più che discreta fama, si guadagna una candidatura ai Grammy norvegesi, i pubblici complimenti nientemeno che di Lars Ulrich nel suo podcast It’s Electric e, infine, ottiene il prestigioso ruolo di spalla in occasione del tour negli stadi dei Die Ärzte, autentiche leggende del punk rock tedesco. A questo proposito, li precede anche la fama di vere e proprie “macchine da concerto”, in grado di regalare show coinvolgenti e portare a paragoni (a conti fatti tutt’altro che arditi) con la presenza scenica dei conterranei Turbonegro.
Come detto, il qui presente LÜT rappresenta l’ultima fatica del gruppo norvegese, che sforna un disco dal concept semplice eppure efficacissimo: suonare quello che piace, senza elucubrazioni di sorta, dando spazio (e voce, letteralmente) a chiunque voglia intervenire. Il risultato è un amalgama tra il rock’n’roll e un punk molto leggero, interamente cantato in lingua madre, che scorre via liscio come l’olio. La struttura dei brani è costante, con strofe semplici e ritornelli in cui emerge quasi sempre un cantato corale che, ad ogni ascolto, arriva a toccare qualche corda più intima e profonda rispetto al precedente. L’atmosfera è quasi sempre sospesa eppure mai malinconica, con alcune sezioni quasi space rock e altre di stampo molto vagamente emo/screamo, ma senza mai neanche lontanamente abbracciare l’una o l’altra deriva. Si fa apprezzare anche la presenza di Bela B, batterista dei già citati Die Ärzte, nella traccia “Glücksschmied”, che rappresenta sicuramente il punto più prestigioso della carriera in studio dei norvegesi.
Ci sono prodotti che nascono con l’idea di essere volutamente machiavellici, altri che puntano a prendere a cazzotti l’anima di chi ascolta. E poi, invece, ci sono i LÜT, che prendono per mano l’ascoltatore e sembrano dirgli che la vita è già di per sé triste e complicata, che non c’è bisogno di aggiungere altra tensione e che, forse, la soluzione è solo chiudere gli occhi e abbandonarsi a un po’ di buona musica. In una terra universalmente nota per aver dato i natali ai generi più estremi mai realizzati, i Nostri danno invece vita ad un disco leggero e rilassante ma tutt’altro che frivolo musicalmente, che comunica sensazioni di sospensione e induce a far viaggiare la mente verso lidi lontani, reso ancor più speciale da una componente corale che sicuramente saprà dare il massimo in sede di esibizione live.
(Indie Recordings, 2025)
1. Fokk D2. Smil & Vink3. Opp Ned4. Glücksschmied5. Komfortsona6. Guro7. Gehenna é8. Perfekte Liv9. Bindingstid På Livstid10. Karusellen