Ci piace pensare agli americani Lycia come un segreto ben custodito del filone darkwave (o gothic, che dir si voglia). Nel giugno del 1993 Mike VanPortfleet pubblica la terza opera (se si considera anche un EP) di questo suo progetto che fonde, in maniera assai intrigante e ammaliante, sonorità gotiche con industrial, elettronica gelida e una certa vena psichedelica e cosmica. Il suddetto disco dal titolo A Day In The Stark Corner ha subito un notevole successo, ovviamente tra i fan di certe sonorità, ma non viene universalmente apprezzato come dovrebbe. Ventinove anni dopo la nostrana Avantgarde Music si propone di ripubblicare in vinile questo lavoro, e ci auguriamo che possa finalmente conferirgli i plausi che si merita.
L’incedere marziale, caracollante, di una batteria robusta e quadrata adornata da dolci e gelidi riverberi tastieristici costituisce lo sfondo sul quale si muove, spettrale, la voce di VanPortfleet: un’ombra che danza algida tratteggiando paesaggi aridi e senza vita, palcoscenico di sogni e incubi e diretta metafora, probabilmente, del deserto di Mesa in Arizona, luogo dove il Nostro ha vissuto a lungo e che, volenti o nolenti, lo ha ispirato. Caratteristiche quelle appena elencate che possono essere riscontrate sin da subito in “And Through The Smoke And Nails”, solenne traccia di apertura del disco e vero e proprio manifesto su cosa aspettarci dalle altre nove tracce. Già con la successiva “Pygmallion” si affacciano echi di Dead Can Dance (e perché no, anche di Vangelis): il senso di antico, ancestrale, di freddo e di lontano, marchi di fabbrica soprattutto del progetto a firma Gerrard – Perry, sono ben presenti anche in questo brano dei Lycia, ma possiamo dire che costituiscono un po’ parte dell’ossatura musicale e della poetica della band. Il modo in cui le tastiere si elevano solenni ha qualcosa anche dei Fields of the Nephilim, privati però del loro caratteristico piglio dark rock. Più cupa è “The Body Electric”, introdotta da un funereo campionamento di campane che di tanto in tanto si riaffacciano nel pezzo quasi a voler rimarcare, semmai ce ne fosse bisogno, l’aura sacrale e rituale che ammanta il brano.
Abbiamo parlato in apertura anche di vena psichedelica; “Wide Open Spaces” annuncia già nel titolo ciò che troveremo nei quasi sette minuti di questa traccia strumentale: un’esplorazione di spazi indefiniti, metafisici, cosmici, in qualche modo sereni e distaccati dalle angosce chi ci hanno toccato con i pezzi precedenti. Addirittura la chitarra, liquida e suadente, va quasi a citare Gilmour e i Pink Floyd più spaziali ed eterei, per una parentesi di assoluta pace. I semi lasciati da questo pezzo germogliano anche nelle successive “The Morning Breaks So Cold And Gray“ e “The Remnants And The Ruins”, mentre in “Goddess Of The Green Fields” sembra quasi di sentire rimandi all’American Gothic, all’Americana, al neofolk a stelle e strisce macabro e sorretto da chitarre acustiche arpeggiate. Il finale del disco è di nuovo solenne gelido e maestoso: “Sorrow Is Her Name” e “Daphne” chiudono in maniera egregia un album incredibilmente intenso, che si defila in una coda strumentale che scivola via, dolcemente, come sabbia tra le dita, lasciando l’ascoltatore in un mix di estasi e stordimento, ma assolutamente voglioso di ricominciare il viaggio.
Avantgarde Music ha puntato sul cavallo giusto, e ristampare A Day In The Stark Corner permetterà a molti di conoscere questo grandissimo lavoro dei Lycia, una band rimasta un po’ troppo nell’ombra (volutamente forse?), ma decisamente meritevole di essere riscoperta ed apprezzata. E il presente album è di sicuro una delle pietre miliari della discografia del progetto di Mike VanPortfleet.
(Avantgarde Music, 2022)
1. And Through The Smoke And Nails
2. Pygmallion
3. The Body Electric
4. Wide Open Spaces
5. The Morning Breaks So Cold And Gray
6. The Remnants And The Ruins
7. Goddess Of The Green Fields
8. Everything Is Cold
9. Sorrow Is Her Name
10. Daphne